Categorie: Spazio

Uno scudo contro i protoni solari

A rendere scomoda la vita degli astronauti c’è già l’assenza di gravità e la ristrettezza degli spazi dove vivono. Ma il loro vero nemico sono i raggi cosmici, particelle provenienti da ogni direzione dello spazio, capaci, in certe condizioni, di uccidere un uomo in pochi istanti. Il problema di proteggere gli astronauti da queste radiazioni letali è dunque cruciale, soprattutto in vista delle lunghe missioni a bordo della Stazione spaziale internazionale e ancora di più in previsione dei viaggi verso Marte. Proprio questo tema è stato al centro del primo Convegno internazionale sulle radiazioni spaziali, che si è concluso il 31 maggio scorso ad Arona, sul Lago Maggiore. Galileo ha intervistato Piero Spillantini fisico dell’Università di Firenze, esperto dei problemi legati alla schermatura dalle radiazioni cosmiche durante i voli interplanetari.

Professor Spallantini, cominciamo con lo spiegare cosa sono esattamente i raggi cosmici e quali effetti possono avere sul metabolismo umano.

“La radiazione spaziale è costituita soprattutto da protoni prodotti in fenomeni particolarmente violenti come le esplosioni di supernovae. Assieme ai protoni c’è anche circa l’uno per cento di nuclei pesanti. Sia i protoni che i nuclei persanti sono pericolosi per l’uomo. Le radiazioni possono influenzare il metabolismo cellulare, alterare la struttura di un gene o provocare la morte della cellula stessa rompendo i legami chimici nelle molecole. Maggiore è la carica del nucleo, più gravi possono essere le conseguenze. Il campo magnetico terrestre blocca la maggior parte di queste radiazioni. Il pericolo quindi sussiste solo per gli astronauti che passano lunghi periodi fuori dal guscio protettivo del campo magnetico”.

Quali sono i pericoli maggiori per questi uomini?

“Gli astronauti che orbitano attorno alla Terra non corrono gravi rischi dato che sono ancora protetti dal campo magnetico terrestre. Il problema si pone per permanenze molto lunghe o per le missioni interplanetarie, per esempio i futuri viaggi su Marte. Il rischio maggiore per queste missioni arriva dal Sole: di tanto in tanto sulla sua superficie si verificano i cosiddetti brillamenti, piccole esplosioni che proiettano protoni nello spazio interplanetario. Anche se meno energetici dei loro “fratelli” galattici, i raggi cosmici solari sono circa cento volte più numerosi e abbastanza forti da attraversare i 2-3 millimetri di parete delle navicelle spaziali. Questi flussi di particelle arrivano all’improvviso e possono durare per ore o giorni, provocando la morte quasi istantanea. La radiazione galattica è più diluita, non ha effetti così drastici sull’uomo. Un’esposizione prolungata può comunque provocare gravi alterazioni fisiologiche”.

Che precauzioni si possono prendere?

“Per bloccare completamente le radiazioni galattiche servirebbero pareti di alluminio spesse un metro intorno alla navicella, e questo chiaramente non è possibile. Inoltre le energie dei raggi cosmici galattici sono troppo elevate per riuscire a deviarli con i campi magnetici, almeno con le tecniche attualmente a disposizione. Per le particelle solari questo è invece possibile, perchè le energie in gioco sono più basse”.

Quindi si potrebbero usare degli “scudi magnetici” per proteggere le astronavi dai raggi comici solari?

“Semplificando un po’ è proprio così. Solo i protoni che arrivano secondo direzioni ben definite, legate alle linee a spirale del campo magnetico solare, possiedono energie sufficienti per attraversare il rivestimento delle astronavi. Conoscendo queste direzioni, la difesa può essere più efficace. Per esempio, si può schermare solo una parte dell’astronave, riducendo il peso della navicella. Oppure si potrebbero deviare le particelle con una lente magnetica: l’equipaggio avrebbe il tempo di “puntare” il campo magnetico prima dell’arrivo dei protoni, che in genere sono preceduti, con circa venti minuti di anticipo, da un flusso di elettroni. Stiamo anche realizzando un prototipo di queste lenti magnetiche, che potrebbe essere testato sulla Stazione spaziale tra cinque o sei anni. Tuttavia, il problema per realizzare questi “scudi” è che manca una conoscenza precisa del comportamento dei protoni di origine solare”.

Dunque?

“Al convegno di Arona abbiamo presentato Cream (Cosmic Rays from Earth to Mars Surveyor), un progetto cui partecipano le università di Firenze, Milano e finanziato dall’Agenzia spaziale italiana. L’idea è lanciare un rivelatore di raggi cosmici per avere la prima mappa dettagliata dell’energia dei protoni solari, in funzione dell’angolo di provenienza, lungo la rotta che potrebbero seguire le missioni verso Marte”.

Quando sarà lanciato Cream?

“La sua partenza era prevista per il 2005 a bordo della nuova sonda della Nasa destinata all’esplorazione di Marte. Purtroppo, dopo il fallimento delle due ultime missioni sul pianeta rosso, l’agenzia spaziale americana sta rivedendo i suoi programmi, e la data di partenza non è più così definita. Il rivelatore comunque si farà”.

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