Uno sguardo nella “schiuma” dello spazio-tempo

Ha appena compiuto cento anni, ma non ha neanche una ruga. La teoria della relatività generale, formulata nel 1916 da Albert Einstein, continua incessantemente a pompare nuova linfa nella fisica, aprendo gli orizzonti a nuovi modelli teorici e richiedendo conferme sperimentali sempre più accurate. L’ultima novità, in ordine di tempo, è quella appena pubblicata su Nature Physics da un’équipe di scienziati di cui fa parte anche il nostro Giovanni Amelino-Camelia, fisico teorico della Sapienza Università di Roma, editorialista di Wired e già indicato dal periodico americano Discover come uno dei possibili novelli Einstein per la sua teoria della relatività doppiamente speciale.

Amelino-Camelia, in collaborazione con Vlaios Vasileiou, dell’università francese di Montpellier, Johnathan Granot, dell’università di Israele e Tsvi Piran, dell’università di Gerusalemme, ha analizzato i dati provenienti dal Fermi Gamma-Ray Space Telescope della Nasa per capire come la struttura dello spazio-tempo influenzi le velocità dei fotoni provenienti da esplosioni cosmiche molto distanti.

Si tratta di una questione abbastanza delicata, che investe i due pilastri della fisica moderna, la relatività generale, per l’appunto, e la meccanica quantistica, entrambe ampiamente verificate a livello sperimentale. Per comprendere il lavoro degli scienziati, è necessario fare un piccolo passo indietro. La prima teoria spiega il comportamento della gravità, descrivendola in termini di una sorta di deformazione dello spazio-tempo, la struttura quadridimensionale in cui siamo immersi. La seconda, invece, contiene le leggi fisiche che regolano il comportamento di onde e particelle su scale spaziali microscopiche.

Semplificando all’estremo, potremo dire che le due teorie si occupano, rispettivamente, dell’enormemente grande e dell’enormemente piccolo. Separatamente, meccanica quantistica e relatività generale funzionano alla perfezione. Il problema è che, quando i fisici provano a inserirle in un unico quadro, le teorie non combaciano. In altre parole, usando un linguaggio caro agli scienziati, non è ancora possibile quantizzare la gravità.

Una delle strade attualmente più promettenti per conciliare le due teorie prevede l’esistenza di una sorta di schiuma di spazio-tempo: si tratta di una predizione comune a parecchi modelli teorici, secondo la quale su scale microscopiche lo spazio non sarebbe continuo, ma avrebbe, per l’appunto, una struttura schiumosa. “Si tratta di un concetto complesso”, ha spiegato Amelino-Camelia, “ma un’analogia può forse aiutarci a intuirlo. Consideriamo per esempio la nostra attuale descrizione geometrica dello spazio-tempo: ricorda un po’ la geometria di un telo ideale. Un telo che risponde alle sollecitazioni piegandosi, diventando più teso, restando però liscio, caratterizzato da una geometria continua. Ebbene, noi ci aspettiamo che questa sia solo una prima approssimazione, un’immagine rozza. In una descrizione microscopia più accurata, quel telo dovrebbe essere in un certo senso poroso, come una schiuma. E con porosità la cui grana cambia rapidamente e drammaticamente quando le distanze si fanno corte”.

Il problema è che la dimensione degli elementi che comporrebbero tale schiuma è troppo piccola per poter essere misurata direttamente. Per accedervi in modo indiretto si potrebbe, per esempio, cercare di capire se e come le particelle elementare (i fotoni, per esempio) interagiscono con la schiuma. Esattamente ciò che ha fatto l’équipe di Amelino-Camelia, analizzando gli effetti della schiuma sulla propagazione di fotoni lontani – quelli che provengono dai cosiddetti gamma ray bursts, violentissime esplosioni in galassie distanti. Effetti che, continua il fisico, sono estremamente piccoli e dunque, a loro volta, difficili da misurare.

“Ci aspettiamo che una delle implicazioni della schiuma”, ci racconta lo scienziato, “sia che la legge di propagazione dei fotoni riceverebbe un nuovo contributo di fluttuazione statistica: fotoni emessi simultaneamente raggiungerebbero il rilevatore non simultaneamente, con differenza nei tempi di arrivo governata da una legge di fluttuazione statistica/casuale”. Che vuol dire? Le particelle di luce, in linea di principio, dovrebbero muoversi tutte alla stessa velocità.

Ma se l’Universo è davvero fatto di una schiuma infinitesima e irregolare, quest’ultima potrebbe modificare traiettorie e velocità dei fotoni, che quindi non arriverebbero simultaneamente sulla Terra, ma a tempi diversi. “Ci sono diversi modelli teorici che studiano la propagazione dei fotoni: noi ne abbiamo testato uno che assume che l’effetto della ‘schiuma’ cresca al crescere dell’energia di due fotoni identici emessi simultaneamente”.

Lo scenario, come avrete capito, non è dei più semplici. Grazie all’analisi dei dati che arrivano dal telescopio Fermi, gli scienziati sono riusciti a escludere i modelli di schiuma più ottimistici, cioè quelli che prevedevano fluttuazioni deboli (ma non troppo) nelle velocità dei fotoni. Un risultato solo apparentemente “negativo”, precisa ancora Amelino-Camelia, che rappresenta invece una tappa fondamentale per la ricerca nel campo. Finora, infatti, era sperimentalmente impossibile verificare le teorie più ottimistiche: la sfida è stata ora superata e si può cominciare a pensare a come attaccare i modelli più pessimistici, quelli che prevedono fluttuazioni ancora più impercettibili.

“Fino a 15 anni fa”, sottolinea Amelino-Camelia, “riuscire a osservare la trama dello spazio-tempo sembrava impossibile, ora abbiamo dimostrato che si può fare”. Quello che abbiamo capito, sostanzialmente, è che la schiuma è ancora più impalpabile di quanto pensassimo. Una cosa, comunque, è certa, secondo lo scienziato: quando riusciremo a osservare, direttamente o indirettamente, la trama dello spazio-tempo, avremo finalmente in mano la chiave per capire come conciliare meccanica quantistica e relatività generale. Un risultato niente male.

Credits immagine: Nasa/Sapienza Università di Roma
Via: Wired.it

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