Vaccino ai nastri di partenza

Obiettivo: arginare un’epidemia che colpisce più di 45 milioni di persone in tutto il mondo. Per questo alcuni gruppi di ricercatori italiani, riuniti all’interno dell’Azione Concertata Italiana per lo Sviluppo di un Vaccino contro l’Aids (Icav), hanno messo a punto un vaccino anti-Hiv. E per l’inizio del prossimo anno hanno pianificato di avviare la sperimentazione sugli umani. Finora, infatti, le strategie di prevenzione e la terapia farmacologica non sono riuscite ad arrestare la diffusione del virus. Che si è sviluppato soprattutto nei Paesi in via di sviluppo dove questi protocolli sono di difficile attuazione a causa dei costi elevati delle cure e della scarsa assistenza medica. Perciò la messa a punto di un vaccino sembra essere l’unico rimedio efficace, oltre che accessibile: si tratta di combattere l’Hiv utilizzando le sue stesse armi, per stimolare le difese del nostro organismo. Con questo approccio i ricercatori italiani sono arrivati allo sviluppo di un vaccino anti-Hiv, basato sulla proteina virale Tat. Galileo ne ha parlato con Barbara Ensoli, coordinatrice dell’Icav presso l’Istituto Superiore di Sanità (Iss), nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerca sull’Aids.Dottoressa Ensoli, come è composto il vaccino? E come viene somministrato?“Il vaccino che abbiamo sviluppato in Iss si basa sulla proteina Tat di Hiv-1, un bersaglio ottimale per la risposta immune. Infatti, questa proteina è necessaria per la replicazione del virus, è immunogenica (suscita cioè una risposta immune), ed è conservata tra i vari sottotipi di Hiv. Il vaccino controlla l’infezione e previene la malattia nella scimmia, che è il modello più vicino all’essere umano, e può essere somministrato sia alle persone non infette che a quelle infette. Nel primo caso è un presidio preventivo, che cioè, analogamente a quanto accade per molti altri vaccini, è in grado di prevenire lo sviluppo della malattia, ma non può bloccare l’infezione, cioè l’entrata del virus nelle cellule. Così l’individuo vaccinato, che in seguito a comportamenti a rischio dovesse venire a contatto con il virus, non sarebbe protetto dall’infezione (e quindi diventerebbe sieropositivo), ma svilupperebbe una risposta immunitaria tale da controllare l’infezione e impedire lo sviluppo della malattia. Nel caso della vaccinazione a individui già sieropositivi si parla invece di vaccino terapeutico, ma la sostanza è sempre la stessa, capace di indurre una risposta immune specifica che blocchi l’evoluzione della malattia”.Quali tappe a livello scientifico e normativo ha dovuto percorrere il vaccino per arrivare fin qui?“Allo stato attuale il vaccino è in fase di produzione. Una volta prodotto verrà richiesta al Ministero della Salute l’autorizzazione per la somministrazione all’essere umano, tramite presentazione di un dossier contenente i risultati di innocuità e immunogenicità ottenuti con il vaccino negli animali, insieme a tutti i dati relativi al processo biotecnologico di produzione e alla verifica delle caratteristiche fisico-chimiche e di purezza del prodotto finito. A tale documentazione saranno allegati i protocolli clinici relativi alla sperimentazione. Dopo l’approvazione da parte del Ministero della Salute, i protocolli clinici saranno sottoposti ai Comitati Etici dei siti clinici. Solo dopo la loro approvazione si potrà procedere all’arruolamento dei volontari. Un meccanismo che non si metterà in moto prima dell’inizio del 2003. Le fasi successive della sperimentazione saranno realizzate sia in Italia che in Africa per verificare l’immunogenicità (fase II) e poi l’efficacia (fase III) nell’essere umano. Il completamento di questi studi e l’analisi dei dati da essa prodotti richiederà un periodo di tempo non inferiore ai 5-7 anni”.Dove si svolgeranno i trial clinici e come proseguiranno le fasi della sperimentazione? “La sperimentazione di fase I in Italia, sponsorizzata dall’Istituto Superiore di Sanità, comprende due trial distinti, uno specifico per l’approccio terapeutico (in volontari sieropositivi) e l’altro per quello preventivo (in volontari sieronegativi). I trial clinici saranno eseguita in tre centri clinici italiani, due a Roma (il Policlinico dell’Università “La Sapienza” e l’Ospedale Lazzaro Spallanzani) e uno a Milano (l’Ospedale S. Raffaele). Nel frattempo stiamo già lavorando alla messa a punto di un vaccino di seconda generazione in collaborazione con l’industria Chiron (Usa), con gli statunitensi National Institutes of Health (Nih) e con molti centri di ricerca sia italiani che europei. Questo progetto ha anche portato a un accordo industriale tra Iss e la Chiron Corporation che è stato recentemente annunciato dal Ministero della Salute italiano: per ridurre i tempi di realizzazione di un vaccino possibilmente ancora più efficace, tempi che posso arrivare fino a 10 anni, abbiamo già iniziato una serie di studi preclinici (nell’animale) con vaccini di seconda generazione”. Come ha accolto la comunità scientifica internazionale i risultati della vostra ricerca? “Come spesso accade nella ricerca, la pubblicazione del successo di una sperimentazione come la nostra, che è del tutto innovativa rispetto ai criteri correnti, ha generato un vasto interesse ma anche reazioni opposte nella comunità scientifica. Il nostro istituto ha comunque sviluppato rapporti di collaborazione bilaterale e multilaterale tecnico-scientifica con molte istituzioni internazionali. Come quello con i Nih (l’equivalente dell’Istituto Superiore di Sanità), firmato nel 1998, per lo sviluppo congiunto di strategie vaccinali contro l’Hiv e l’Aids. Inoltre, sono in corso di sviluppo programmi di ricerca sull’Aids e le patologie correlate volti a sostenere il Piano Sanitario Nazionale Ugandese per il controllo dell’infezione da Hiv e per preparare i siti per la successiva sperimentazione del nostro vaccino. Analogamente, è stata stretta una collaborazione con il Sud Africa per eseguire studi immunologici e virologici al fine di identificare in questo paese i siti per la sperimentazione vaccinale. Nel caso del nostro tipo di vaccino la collaborazione prevale sulla competizione. Ma va ricordato che esistono numerosi altri approcci per lo sviluppo di un vaccino anti-Hiv, assai diversi concettualmente dal nostro e che competono con noi “a distanza”. L’importante, in ultima analisi, è che si arrivi il prima possibile a un vaccino efficace”.

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