Covid-19, perché è importante limitare la diffusione delle nuove varianti

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(Credits: Fusion Medical Animation on Unsplash)

La variante inglese è davvero più mortale, come sostenuto dal premier britannico Boris Johnson? E quella sudafricana davvero elude le difese del sistema immunitario anche di chi ha contratto in passato l’infezione o è stato vaccinato? Sono tante le notizie che circolano sulle versioni mutate del coronavirus in questi giorni, ma di certezze quasi nessuna. Se non che faremmo meglio a fare di tutto per limitarne la diffusione.

Variante inglese: più mortale?

Se è ormai assodato che la versione mutata di Sars-Cov-2 identificata per la prima volta in Inghilterra (che per questo chiamiamo variante inglese, anche se ormai si è diffusa un po’ dappertutto) sia più contagiosa, non abbiamo ancora le idee chiare su se e quanto possa essere più mortale.

Il 22 gennaio Boris Johnson, primo ministro britannico, ha riferito di essere stato informato del fatto che la nuova variante, oltre a diffondersi più rapidamente, sarebbe anche associata a un maggiore tasso di mortalità.

Poco dopo, però, il suo stesso consigliere scientifico Patrick Vallance corregge un po’ il tiro di una simile sconfortate affermazione: sì, ci sono dei dati che portano in questa direzione, con il rapporto tra morti e contagiati che potrebbe passare da 10 su mille a 13-14 su mille nelle fasce d’età più a rischio. Ma sono evidenze ancora parziali, da confermare. Johnson, infatti, semplifica un po’ troppo le informazioni contenute nell’ultimo rapporto del Sage che prende in considerazione i dati preliminari di 10 studi non ancora pubblicati e abbastanza eterogenei tra loro.

Una nota positiva: sembra che il vaccino sia altrettanto efficace per questa variante.

Variante sudafricana: sfugge al vaccino?

I vaccini contro Covid-19 appena sviluppati proteggono anche dalle varianti del coronavirus? Domanda più che gettonata da qualche settimana a questa parte, ma che ancora manca di una risposta.

La rivista Nature ha pubblicato un articolo in cui riporta i risultati preliminari di alcuni piccoli studi che sembrano indicare che la variante sudafricana, anch’essa più contagiosa del coronavirus che ha caratterizzato la prima ondata pandemica, potrebbe eludere le difese immunitarie anche di chi ha già contratto l’infezione ma da una variante diversa e di chi è stato vaccinato. Quindi, panico giustificato? Keep calm, dicono ancora gli scienziati interpellati proprio da Nature: ci sono così tante informazioni che si susseguono così velocemente che prendersi del tempo per valutarle e fare il punto della situazione è d’obbligo.

Questi studi (che, ripetiamolo, hanno coinvolto un piccolo numero di persone oppure hanno utilizzato uno pseudo-virus per simulare le mutazioni della variante sudafricana) hanno usato campioni di plasma prelevati da pazienti con Covid-19 e da persone vaccinate per testare in laboratorio la capacità dei loro anticorpi di neutralizzare le nuove varianti di coronavirus, e sembra che siano un po’ meno efficaci. Ma (ed è un ma bello grande) non ci dicono nulla su quello che accade in un organismo quando questo viene infettato: non colgono se questo cambiamento di attività degli anticorpi abbia o meno importanza in un contesto diverso dal test di laboratorio, né danno informazioni sulla risposta e sul contributo delle altre componenti del sistema immunitario.

Altri gruppi di ricerca stanno facendo gli stessi test e dai dati preliminari viene fuori che la potenza degli anticorpi delle persone vaccinate con i prodotti di Pfizer e Moderna contro la variante sudafricana è sì inferiore ma non di molto e che quindi non si può concludere che i vaccini siano meno efficaci.


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Frenare la diffusione

In uno scenario ancora pieno di incertezze, in cui nessuno ha la ricetta giusta, gli scienziati non possono fare a meno di interrogarsi se allo scopo di abbattere la diffusione del coronavirus (in tutte le sue varianti) non sia auspicabile imporre misure più severe, anche laddove i numeri dell’epidemia risultino (per il momento) più stabili.

In un editoriale sulla rivista Virulence, diversi esperti definiscono la scelta di molti paesi di tener a galla l’economia applicando direttive light per il contenimento del contagio e dei decessi come un equilibrio precario, che il diffondersi delle nuove varianti (quelle già identificate e quelle che verranno) potrebbe buttare in aria da un momento all’altro. Forse – scrivono – è tornato il tempo di imporre misure di mitigazione più severe che consentano di anticipare le ondate pandemiche prevenendo il peggio, anziché inseguire di volta in volta la variante più virulenta.

Limitare la circolazione del virus vorrebbe dire dargli minori chance di acquisire nuove mutazioni che eludano la protezione dei vaccini. “L’umanità si trova di fronte a una nuova realtà. Più velocemente ci adattiamo, migliori sono le nostre prospettive a lungo termine. Dobbiamo fermare l’evoluzione e la diffusione di ceppi virali più virulenti ora. Pertanto, sosteniamo le politiche di salute pubblica con misure di controllo rigorose al fine di per proteggere il nostro sistema sanitario pubblico, il nostro benessere individuale e il nostro futuro”.

Da tenere d’occhio, inoltre, sono gli ospiti animali del coronavirus, come i visoni e i gatti, che possono trasmettere di nuovo l’infezione all’essere umano. Anche questa è una pericolosa via di mutazione del coronavirus. A tal proposito, “non è impensabile che la vaccinazione anche di alcune specie animali domestiche possa essere necessaria per frenare la diffusione dell’infezione”.

Credits immagine: Fusion Medical Animation on Unsplash