Vaschette pericolose

Sacchetti, scatolette, vaschette, coperchi dei barattoli. È sempre più diffuso l’utilizzo di imballaggi per la conservazione e la vendita del cibo, che così viene a contatto con diversi tipi di materiale: plastiche, metalli, cellulosa, carta, gomma. E ora anche con materiali riciclati e “materiali intelligenti”, ideati per rilasciare sostanze che allunghino il tempo di conservazione dei prodotti alimentari: un’innovazione quest’ultima di cui l’Unione europea non ha ancora ammesso l’utilizzo, mentre già compare nei supermercati statunitensi, giapponesi e australiani.“Per valutare la sicurezza d’uso di tutti questi materiali”, spiega Catherine Simoneau, a capo della sezione Food Contact Materials della Physical and Chemical Exposure Unit presso il Centro Comune di Ricerca (Ccr) dell’Unione Europea a Ispra, sul Lago Maggiore, “bisogna accertarsi che durante il contatto non avvenga una migrazione di sostanze chimiche a livelli eccessivi, che possono essere fonte di preoccupazione per la salute umana”. Le plastiche sono stati i materiali finora più monitorati, quindi in questo campo la legislazione è a buon punto e gli effetti si vedono: il Pvc per esempio è sempre meno impiegato per uso alimentare. Ma quali sono le sostanze da tenere maggiormente sott’occhio? “L’attenzione primaria va alle sostanze teratogene, cancerogene o dannose per il sistema endocrino: alcune sostanze adesive o certi inchiostri possono rilasciare sostanze di questo tipo”. Nei materiali multistrato, come quelli usati per il latte, sono presenti tra uno strato e l’altro sostanze adesive che, se non trattate adeguatamente in fase di produzione, possono migrare e formare le amine aromatiche primarie, che sono sostanze cancerogene.“È quindi particolarmente importante”, sottolinea Simoneau, “ sviluppare metodiche efficaci per quantificare la migrazione delle sostanze chimiche. Un impegno che può rivelarsi complesso, come nel caso del Badge (bisfenolo-A-diglicidil etere), contenuto nei rivestimenti delle lattine, che, a contatto con cibi acquosi, si degrada e reagisce col cibo, dando luogo a diversi composti, tutti da monitorare”. Le analisi nei laboratori come quello del Ccr di Ispra vengono condotte con i cosiddetti “simulanti”, soluzioni acquose che simulano la composizione dei cibi. “I simulanti sono di quattro categorie: acqua, soluzione al 3 per cento di acido acetico, soluzione al 10 per cento di etanolo e poi l’olio d’oliva, che rappresenta i cibi grassi”. Questi ultimi sono oggetto di particolare attenzione poiché esistono alcuni additivi, immessi nelle pellicole di polietilene, che dimostrano una maggiore solubilità a contatto con le sostanze grasse. “Al momento”, aggiunge Simoneau, “abbiamo in corso delle analisi sui coperchi dei vasetti di omogeneizzati, che sono rivestiti al loro interno con una sostanza plastificante, l’olio di soia epossidato (Esbo): un controllo su circa 250 tipi di confezioni ha fatto rilevare nel 15 per cento dei casi un superamento del limite specifico di migrazione previsto dalla legislazione”. Un dato che, come per gli altri risultati del laboratorio Food Contact Materials, andrà a infoltire il data base comunitario per le eventuali modifiche nella legislazione o per emettere le raccomandazioni del caso.“A livello di normativa europea”, conclude Simoneau, “c’è ancora molto lavoro da fare soprattutto per materiali come carta e cartone o i metalli ricoperti. Ma la via è segnata, e il fatto che molti tra i paesi che entreranno a far parte dell’Ue l’anno prossimo si stiano già adeguando fa ben sperare”.

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