Vasopressina, il primo farmaco per l’autismo mira all’ormone della socialità

vasopressina
(Foto via Pixabay)

Il primo trattamento farmacologico per l’autismo potrebbe avere come bersaglio la vasopressina, l'”ormone della socialità”. Per migliorare la comunicazione e l’interazione sociale e ridurre i comportamenti ripetitivi tipici di questa condizione. È quello che emerge da due recenti studi clinici, pubblicati su Science Translational Medicine, che, anche se con un approccio differente, affrontano questo tema. Il primo studio, diretto da Federico Bolognani, ricercatore della multinazionale farmaceutica svizzera L. Hoffmann-La Roche, è stato condotto su adulti maschi. Il secondo, guidato da Karen J. Parker della Stanford University, ha coinvolto una trentina di bambini con autismo di età compresa tra i 6 e i 12 anni, in cura presso l’Autism and Developmental Disorders Clinic (ADDC).

I risultati aprono la strada ad ulteriori studi sul farmaco Balovaptan come potenziale trattamento dei deficit di socializzazione e comunicazioni nei disturbi dello spettro autistico. Un importante passo avanti, se si tiene conto del fatto che ad oggi non esistono farmaci in grado di intervenire sui sintomi del disturbo come difficoltà socio-comunicative e comportamenti ristretti e ripetitivi.

I disturbi dello spettro autistico

Con una prevalenza di circa l’1% in tutto il mondo, l’autismo è la forma di disabilità mentale più frequente in assoluto; si stima che in Italia le persone con autismo siano almeno mezzo milione. Il distrubo interessa dalle 4 alle 5 volte più i maschi che le femmine.

L’autismo è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da una compromissione generalizzata nella capacità di comunicazione e di interazione sociale, con manifestazioni quali comportamenti ripetitivi e un quadro ristretto di interessi. I soggetti con autismo hanno difficoltà a comunicare, ad esprimersi con parole o gesti e possono essere soggetti a movimenti del corpo ripetitivi e stereotipati; inoltre possono manifestare attaccamento agli oggetti, resistenza al cambiamento e comportamento aggressivo o autolesionista.

Data la varietà dei sintomi, si parla più propriamente di disturbi dello spettro autistico (DSA), a coprire un ampio spettro di sintomi, abilità e livelli di disabilità. Tale denominazione rappresenta una sorta di “ombrello” sotto il quale, oltre al Disturbo Autistico e alla Sindrome di Asperger, vengono inclusi anche Sindrome di Rett, Disturbo Disintegrativo dello sviluppo e Disturbo Pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato (NAS).

Come già detto, non esiste ancora un trattamento riconosciuto per i sintomi nucleari dei disturbi dello spettro autistico. Gli interventi disponibili sono solo di tipo comportamentale, ed è importante intervenire molto precocemente. Solo in questo caso gli interventi possono migliorare le abilità di comunicazione dei bambini, ma molto meno gli aspetti di relazione e interazione sociale.

Le cause dell’autismo

Le cause dell’autismo risultano ad oggi ancora sconosciute, anche se i ricercatori concordano sul fatto che si tratti di una condizione organica causata da una concomitanza di fattori di rischio genetici e ambientali, presente fin dalla nascita che può svilupparsi addirittura durante la gravidanza. È noto che vi è una base genetica, anche se non c’è un unico gene che determina l’autismo, ma sembra che siano almeno 102 i geni associati all’insorgenza del disturbo. Ma il contributo del DNA potrebbe interessare anche le porzioni non condificanti del genoma, come suggerisce uno studio appena pubblicato su Nature Genetics, che collega l’autismo a mutazioni nel cosiddetto DNA spazzatura. Oltre alla genetica ci sono importanti fattori di carattere ambientale come l’esposizione in gravidanza ad eventi tossici, quali assunzione di alcol ed esposizione a pesticidi, e l’età avanzata dei genitori. Tuttavia, nessuno di questi fattori di rischio, preso singolarmente, è determinante nell’autismo.

Vasopressina, l’ormone della socialità

È nota da tempo la proprietà dell’ormone vasopressina di favorire i comportamenti relazionali nei roditori. Gli studi più recenti sull’uomo hanno dimostrato la capacità della vasopressina di modulare i circuiti neurali coinvolti nell’ansia, nell’aggressività, nell’accoppiamento e negli atteggiamenti sociali. La vasopressina ha una struttura molto simile all’ossitocina, cosa che ne spiega in parte il meccanismo di azione a livello sociale. Alterazioni della concentrazione di vasopressina e ossitocina e mutazioni dei geni che codificano per i loro recettori sono state correlate a disturbi psichiatrici come depressione, schizofrenia e disturbo post-traumatico da stress.

Lo studio sugli adulti

L’implicazione diretta della vasopressina nella patofisiologia dell’autismo non è stata ancora ben chiarita, ma recenti studi sui topi mostrano che la via biologica di questo neuropeptide può essere un promettente target nella terapia farmacologica dell’autismo.

Bolognani e colleghi hanno quindi condotto uno studio clinico di fase 2, controllato con placebo, su 223 adulti maschi di età compresa tra 18 e 45 anni con DSA da moderato a grave, per valutare l’efficacia del Balovaptan, un farmaco per uso orale che inibisce il recettore della vasopressina V1a.

I ricercatori hanno suddiviso i pazienti in quattro gruppi e somministrato una delle tre dosi di farmaco o il placebo quotidianamente per 12 settimane. Sono state testate tre diverse dosi del farmaco: 32 pazienti hanno assunto una dose giornaliera di 1,5 milligrammi, 77 hanno assunto 4 milligrammi e 39 partecipanti 10 milligrammi al giorno. Gli altri 75 partecipanti hanno assunto una pillola di placebo al giorno.

Prima e dopo il trattamento, i caregivers hanno valutato i comportamenti dei partecipanti secondo la scala SRS-2 (Social Responsiveness Scale, 2nd Edition), che prende in considerazione i sintomi nucleari dell’autismo, come la ripetitività dei comportamenti e le abilità socio-comunicative. Il farmaco è sicuro e ben tollerato, ma nessuna delle dosi testate ha portato a miglioramenti significativi nei punteggi ottenuti secondo la scala SRS-2 nei pazienti trattati con Balovaptan rispetto al placebo. Tuttavia – osservano gli autori- i due gruppi di pazienti che hanno assunto le dosi intermedia e alta di farmaco hanno mostrato miglioramenti in una seconda scala che misura i comportamenti adattivi nella vita quotidiana, la scala di Vineland-II. I risultati migliori si sono avuti nei pazienti che prendevano la dose di farmaco più alta.

Va sottolineato che otto pazienti, di cui sette in trattamento col farmaco ed uno con il placebo, hanno lasciato lo studio a causa di effetti collaterali. Tra i pazienti trattati con Balovaptan, cinque hanno avuto, rispettivamente, bradicardia, rabdomiolisi (rottura delle cellule del muscolo scheletrico), psicosi, agitazione e sincope. Gli autori sottolineano però che, a parte l’episodio di rabdomiolisi, non si sono registrati altri eventi avversi seri durante il trattamento.

Lo studio di Bolognani e colleghi, denominato con l’acronimo VANILLA (Vasopressin ANtagonist to Improve sociaL communication in Autism), conferma l’implicazione del recettore V1a nel modulare i comportamenti socialmente non adeguati delle persone affette da autismo. La sperimentazione clinica è ancora in fase II e per il momento il farmaco è stato testato solo sugli adulti. Attualmente si sta iniziando a valutare l’efficacia del Balovaptan su bambini e adolescenti maschi e femmine di età compresa tra i 5 e i 17 anni in un periodo di sei mesi.

Lo studio con i bambini

Seguendo un approccio differente, Karen Parker e colleghi hanno trattato 30 bambini con autismo di età compresa tra 6 e 12 anni con vasopressina per via intranasale per quattro settimane. Lo spray è stato somministrato in tre diverse dosi in 17 bambini, mentre gli altri 13 bambini hanno assunto uno spray placebo.

Prima e dopo la terapia sono stati valutati diversi aspetti, fra i quali il livello di ansia, i comportamenti ripetitivi, la capacità di interazione e le capacità empatiche. I ricercatori hanno verificato un miglioramento oggettivo del quadro clinico dei bambini trattati con vasopressina secondo la scala SRS-2 rispetto a quelli che avevano assunto il placebo. I bambini trattati mostravano un miglioramento nel funzionamento sociale, erano in grado di interpretare meglio gli stati emotivi e mentali degli altri e di riconoscere i volti nei test di laboratorio. Il trattamento con vasopressina ha anche ridotto altri sintomi, come l’ansia e i comportamenti ripetitivi. Non ci sono stati effetti collaterali e nessun paziente ha lasciato lo studio.

Entrambi gli studi sono studi clinici di fase II controllati con placebo, ma differiscono per numero, età dei partecipanti, durata dello studio e metodologia adottata: nel primo adulti maschi hanno assunto un farmaco che inibisce il recettore della vasopressina V1a, mentre nel secondo un gruppo di bambini ha assunto vasopressina con uno spray nasale. In entrambi gli studi si è osservato comunque un miglioramento del funzionamento sociale dei pazienti trattati rispetto a coloro che avevano assunto il placebo. I migliori punteggi sulla scala SRS-2 nello studio di Parker e colleghi potrebbero essere spiegati sulla base della maggiore neuroplasticità dei bambini.

Risultati preliminari

Entrambi gli studi sono rilevanti per i risultati ottenuti, ma è prematuro trarre conclusioni dal momento che richiedono una conferma in studi più ampi. Sarà necessario- affermano gli autori- effettuare studi clinici su un numero maggiore di pazienti e verificare se l’aumento della dose di vasopressina possa assicurare effetti più evidenti.

Va ricordato che la multinazionale farmaceutica F. Hoffmann–La Roche SA ha ricevuto il riconoscimento di Breaktrough per il farmaco Balovaptan che sta testando sui disturbi dello spettro autistico. Tale riconoscimento da parte dell’FDA sottolinea l’importanza di questi risultati preliminari riconoscendo che un approccio di questo tipo potrebbe offrire vantaggi rispetto alle opzioni di trattamento esistenti. Se il Balovaptan arriverà in commercio sarà il primo farmaco riconosciuto efficace per i sintomi nucleari dell’autismo.

Riferimenti: Science Translational Medicine, Science Translational Medicine

3 Commenti

  1. Io mi piaccio asociale e sto benissimo così.
    Non credo che sia opportuno propinare l’ormone dell’oca giuliva ai poveri bambini autistici, senza che diano il proprio consenso informato. I bambini e non i genitori.

  2. Rispondo ad F.
    Secondo me i bimbi stanno bene cosi come sono.Il problema è che non sono autosufficienti e qnd noi genitori non ci saremo più….ci sarà un problema più grosso.Mi sentirei in piena coscienza (e speranza) di far assumere il farmaco a mio figlio.

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