È un mondo che definire inospitale sarebbe un eufemismo. La temperatura in superficie è di quasi 500 gradi centigradi, l’atmosfera è composta al 96% di anidride carbonica, e la sua pressione è circa 100 volte maggiore di quella terrestre. Parliamo di Venere, uno dei pianeti più infernali di tutto il Sistema solare. Che piano piano, grazie alle osservazioni dei satelliti in orbita e alle simulazioni al computer, stiamo iniziando a conoscere sempre meglio. L’ultima notizia, appena sfornata da un’équipe di scienziati dello Institute of Geophysics di Zurigo e pubblicata sulla rivista Nature Geoscience, riguarda la geologia del pianeta: sembra infatti che Venere sia molto irrequieto dal punto di vista dell’attività vulcanica. Gli scienziati, in particolare, hanno identificato ben 37 strutture vulcaniche che sembrano essere state attive di recente. Anzi, che forse lo sono ancora oggi.
“È la prima volta”, spiega Laurent Montési, uno degli autori dello studio, “che siamo riusciti a puntare il dito su una specifica struttura venusiana e dire con certezza che non si tratta di un vulcano antico, ma di un vulcano ancora attivo. Magari dormiente, ma non morto. Questo studio cambia significativamente la percezione che abbiamo di Venere: non un pianeta inattivo, ma un corpo al cui interno sono in atto processi violenti, in grado di alimentare parecchi vulcani”. Finora, quel che si sapeva con ragionevole certezza era che Venere è rimasto attivo anche dopo che su Marte e Mercurio si è spenta ogni attività geologica: lo studio di oggi corrobora l’ipotesi che il pianeta sia tuttora attivo. Per scoprirlo, gli scienziati hanno simulato al computer la formazione e l’evoluzione delle cosiddette corone, delle strutture vulcaniche venusiane a forma di anello: “Il grado di realismo del nostro modello”, dice ancora Montési, “ci ha permesso di identificare diversi stadi nell’evoluzione delle corone, e di individuare proprietà geologiche che possono essere presenti solo se le corone sono attive: al momento ne contiamo 37”.
Le corone si formano quando un getto di roccia fusa sale dal mantello verso la crosta, un processo geologico simile a quello che, sulla Terra, ha portato per esempio alla formazione delle isole Hawaii. Le 37 corone (probabilmente) attive individuate dagli scienziati sono raggruppate in diverse zone del pianeta, aree che, dicono gli autori del lavoro, “potrebbero essere punti di interesse per future missioni spaziali”.
Credits immagini: Nasa/Laurent Montési
Riferimenti: Nature Geoscience
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