“Violato un santuario dell’umanità”

“Una profanazione non solo naturalistica ma anche culturale nei confronti delle Galàpagos”. Così Danilo Mainardi, docente di Conservazione della natura all’Università di Venezia e presidente della Lega italiana protezione uccelli (Lipu), ha descritto l’incidente della petroliera Jessica, la nave ecuadoriana che ormai da giorni è incagliata a 800 metri dalle coste del paradiso di Darwin. “Quelle isole”, continua Mainardi, “rappresentano un santuario laico per il genere umano. Hanno lo stesso valore simbolico che San Pietro ha per i cattolici”.

Le Galàpagos sono una delle zone del mondo con la più alta biodiversità e con un equilibrio particolarmente fragile: solo poche specie di animali e piante hanno raggiunto questi luoghi distanti dalla terra ferma. E qui hanno dato vita a esemplari unici. Ed è stata la specificità dell’ambiente ad ispirare al padre dell’evoluzionismo la sua teoria. Oltre alle grosse testuggini, da cui l’arcipelago ha preso il nome, la maggior parte dei rettili e circa la metà degli insetti e degli uccelli che le popolano sono specie autoctone. In questi giorni gli operatori internazionali cercano di mettere in salvo soprattutto cormorani e pinguini, gli animali più a rischio. E continuano a estrarre dalle cisterne della petroliera il greggio rimasto, che minaccia di allargare la chiazza nera che galleggia verso le coste delle isole più vicine.

Ma è ancora difficile valutare se per le Galàpagos si debba parlare di emergenza, come hanno dichiarato le autorità locali, o di vero e proprio disastro ambientale. “Uno dei maggiori pericoli è l’inquinamento chimico che resterà sul fondo e che attraverso le alghe e gli altri microrganismi entrerà nella catena alimentare delle specie”, ha raccontato Mainardi a Galileo. Le isole, che un tempo si chiamavano Les Encantadas, sono state dichiarate Patrimonio mondiale dell’Unesco dal 1978. Questo però non è bastato a preservare il loro habitat, a cominciare dal numero di abitanti che negli ultimi trent’anni sono passati da 800 a circa 16 mila, per continuare con il turismo di massa e la pesca abusiva. Già da due anni esiste una legge di protezione dell’ambiente varata in Ecuador. Ma mancano le misure necessarie ad applicarla. Essa prevede la creazione di una zona protetta di 40 miglia intorno alle isole dove la pesca industriale dovrebbe essere vietata e il turismo e l’immigrazione limitati.

E mentre in tutto il mondo esistono paradisi naturalistici minacciati quotidianamente dal traffico petrolifero, dal Mar Rosso al Borneo, dalla Laguna di Venezia all’Alaska e al Rio delle Amazzoni, le stime del Wwf sul numero di disastri che si verificano ogni anno suggeriscono la necessità e l’urgenza di un provvedimento internazionale. Ogni anno, infatti, l’industria petrolifera commercia oltre 3 milioni di tonnellate di petrolio in tutto il mondo. Il 10 per cento finisce accidentalmente in mare. Per questo, secondo Mainardi “è necessario ritornare alla centralità della cultura naturalistica: ci si deve render conto che nessuna specie può vivere distruggendo il suo ambiente. Occorre una rivoluzione culturale, altrimenti si lavora sempre inseguendo le emergenze”.

Secondo il governo dell’Ecuador, l’emergenza ambientale nelle Galàpagos durerà almeno tre mesi, anche se non è ancora il caso di parlare di disastro. Lei cosa ne pensa?

“Attualmente si può parlare solo di emergenza. Se in futuro ci sarà un danno, è ancora difficile valutarne l’entità. Certamente si tratta di una situazione grave. Le Galàpagos sono isole lontane dal continente, per questo hanno avuto un processo di colonizzazione molto selettivo. Si è creato così un fragile equilibrio che potrebbe essere alterato dalla scomparsa di una sola specie”.

Perché le specie delle Galàpagos sono state utili a Darwin per formulare la sua teoria della selezione naturale?

“Gli hanno consentito di capire l’importanza dell’isolamento. E perché differenti pressioni selettive possono determinare la comparsa di nuove specie. Le specie delle Galàpagos rappresentano una biodiversità, nel senso che sono collegate l’una all’altra attraverso le reti trofiche. Per cui al di là dell’impatto sul pubblico delle immagini di leoni marini o di pellicani imbrattati di petrolio, il problema maggiore, a mio avviso, potrà venire dall’inquinamento chimico che rimarrà sul fondo e che contagerà le alghe, principale nutrimento delle iguane marine”.

Cosa si dovrebbe fare per tutelare il patrimonio ambientale delle Galàpagos?

“Innanzitutto evitare che passino le petroliere. Per controllare le situazioni ambientali di tutto il mondo servono leggi di carattere internazionale e non nazionale. La situazione dell’Africa è un altro esempio: lì piccoli stati hanno patrimoni naturalistici straordinari. Ma alcune specie come i gorilla di montagna sono minacciati dalla guerriglia interna. Su questi temi bisogna scavalcare il concetto di nazione e capire che, quando si parla di ambiente, la nostra patria è il mondo”.

La Lipu ha avviato qualche iniziativa di intervento nelle Galàpagos?

“Noi stavamo già lavorando in Ecuador. La Lipu, infatti, è consociata con Board Life International, che riunisce più di cento associazioni nazionali che si occupano di protezione degli uccelli. In Ecuador, avevamo problemi relativi alla distruzione di una parte della foresta amazzonica proprio per via del petrolio. Era coinvolta anche l’Agip, e io stesso pochi giorni fa avevo avuto un colloquio con il presidente che mi sembrava convinto a spostare l’oleodotto”.

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