L’hackeraggio è un crimine anche quando il sistema violato non è stato difeso adeguatamente. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una sentenza dove si legge che la mancanza di protezione interna non è un elemento da cui desumere il libero accesso ai dati. Per i giudici, l’introduzione abusiva in un sistema informatico è del tutto paragonabile alla violazione del domicilio delle persone. In questo reato l’elemento caratterizzante è “l’agire contro la volontà espressa o tacita” del legittimo proprietario o inquilino dell’appartamento. Insomma introdursi in un sistema informatico è un crimine anche quando il sito, o la banca dati bersagliata, non è dotato di chiavi di accesso e sbarramenti. La Suprema Corte sottolinea che il reato contestato si configura solo se il sistema informatico “non è aperto a tutti”, cioè quando esiste comunque “un qualsiasi meccanismo di selezione dei soggetti abilitati all’accesso al sistema informatico, anche quando si tratti di strumenti esterni al sistema e meramente organizzativi”. Ad esempio quelli destinati “a regolare l’ingresso stesso nei locali in cui gli impianti sono custoditi”. (g.s.)
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