Vittime dimenticate

Quarantasette morti e quasi cento feriti. Questo il bilancio di vittime, si badi bene umane, della scorsa stagione venatoria. Lo stesso, grosso modo, delle tre precedenti: 45 morti nel 2001-2002, 41 nel 2002-2003, 50 nel 2003-2004. E, nel rispetto delle statistiche, la recente riapertura della caccia, anticipata in 17 regioni di circa due settimane rispetto al calendario nazionale, è stata segnata già da quattro incidenti mortali e 9 ferimenti gravi. “E’ arrivato il momento di considerare la caccia come un urgente problema di pubblica sicurezza. Del resto i dati parlano chiaro: i rischi per l’incolumità delle persone sono maggiori di quelli derivanti dal terrorismo, dalla mafia o dalla camorra”, dice Maurizio Giulianelli responsabile dei rapporti con gli enti locali dell’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Caccia, che sarà presente alla manifestazione nazionale contro la caccia che si terrà a Firenze il prossimo 17 settembre.

Insomma i 700.000 cacciatori che ogni anno, da settembre a gennaio, attraversano quel 60% di territorio agro-silvo-pastorale destinato da ogni provincia alla libera caccia, sono una minaccia da non sottovalutare. Tanto che l’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Caccia ha stimato che gli incidenti mortali causati direttamente o indirettamente dalla loro attività (concentrata in 5 mesi all’anno), superino del 640 per cento quelli che si verificano negli ambienti di lavoro più a rischio e del 15 per cento quelli provocati dal traffico automobilistico. Ma né il Viminale, né il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali hanno mai fornito dati ufficiali per confermare o smentire queste stime e, al di là delle cronache giornalistiche, manca un monitoraggio periodico del fenomeno.

Ma perché è diventata così pericolosa la caccia e che cosa si può fare per ridurre i rischi?”La legge 157/92 prevede il divieto di sparare da distanze inferiori a 150 metri da qualunque abitazione, ma la norma non viene mai rispettata” prosegue Maurizio Giulianelli. “L’alta densità della popolazione in alcuni punti del territorio italiano rende incompatibile il sereno svolgersi degli impegni quotidiani con la presenza dei cacciatori durante tutta la stagione venatoria. E’ per questo che la nostra associazione si sta battendo per ottenere dai sindaci delle ordinanze di sospensione dell’attività venatoria per motivi di pubblica sicurezza. Così è accaduto in alcuni comuni laziali che hanno avuto il coraggio di stabilire che nel territorio da loro amministrato, almeno per quest’anno, non si caccia”. Fin qui tutto sembrerebbe marciare in perfetta sintonia con quel 74 per cento dei cittadini italiani che, in un recente sondaggio Eurisko, si è dichiarato favorevole all’abolizione della caccia. Eppure l’intesa tra istituzioni e opinione pubblica, proprio in questi giorni, è messa a dura prova da una proposta di legge che da tempo viene caldeggiata dalla lobby venatoria (Federcaccia in primis).

Ci riferiamo al testo di modifica della legge 157/1992 (legge quadro sulla caccia), noto come “testo Onnis” dal relatore Francesco Onnis di Alleanza Nazionale, ora di nuovo in esame alla Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati, che prevede tra l’altro la depenalizzazione di quasi tutti i reati venatori e l’eliminazione di alcuni divieti. Se il pacchetto di proposte riuscisse a venire approvato, superando le riserve di molti parlamentari sia di maggioranza che di opposizione, la caccia, oltre ad aumentare i danni sulla fauna (di questo aspetto abbiamo già parlato su Galileo), potrebbe diventare ancora più pericolosa per gli esseri umani: perché verrebbe consentito di cacciare per un periodo di tempo maggiore, di sparare da motoscafi e automobili, di imbracciare il fucile anche in condizioni di visibilità scarse (sino ad un’ora dopo il tramonto), di cacciare in parchi nazionali e in giardini pubblici e privati.Un bel regalo ai cacciatori, già abbastanza “viziati” dalla normativa attuale che gli permette di entrare in un fondo privato (non recintato) anche contro il volere del proprietario (un’azione condannata dalla Corte Europea di Strasburgo per la Francia), di cacciare per 5 giorni su 7 (martedì e venerdì sono giorni di cosiddetto silenzio venatorio), di iniziare a sparare un’ora prima del sorgere del sole fino al tramonto e di avere a disposizione una parte considerevole del territorio provinciale (60 per cento).

“Perché le cose cambino veramente sarebbe necessario ridisegnare i luoghi adibiti alla caccia partendo però da dove si può cacciare e non, come è accaduto finora, da dove non si può”- conclude Giulianelli suggerendo una soluzione di partenza per limitare i danni provocati dalle centinaia di incidenti che si verificano ogni anno. Danni, tra l’altro, di cui, nella maggior parte dei casi, non si riesce a risalire ai responsabili e non resta che affidarsi ai procedimenti penali contro ignoti.

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