Vittime silenziose

Vittime di abusi fisici e sessuali, maltrattate tra le mura di casa, spesso per mano del proprio compagno. È una condizione sopportata da molte in silenzio, con un intimo senso di colpa, vergogna e rassegnazione, che accomuna donne di paesi e continenti diversi, senza distinzioni di età, razza, ricchezza e cultura. Un vasto studio dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ha coinvolto 24 mila donne tra i 15 e 49 anni, provenienti da 15 località in 10 nazioni (Bangladesh, Brasile, Etiopia, Giappone, Perù, Namibia, Samoa, Serbia e Montenegro, Repubblica Unita della Tanzania) amplia i dati geografici e numerici sulla violenza domestica raccolti nel 2002, fotografando un fenomeno allarmante ed epidemico. Secondo il rapporto, in 13 delle 15 località, tra un terzo e un quarto delle donne intervistate, ammette di essere stata aggredita dopo i 15 anni da un uomo, nella maggior parte dei casi l’ex o l’attuale partner. Per la metà di loro, gli abusi sono una realtà ancora in corso. Più di frequente, le percosse fisiche sono severe, provocano ferite e lasciano segni sul corpo nel 20-50 per cento delle donne. Ma un manto di omertà copre i colpevoli di questi gesti: tra il 21 e il 66 per cento delle vittime, infatti, non ha mai raccontato a nessuno quanto subito. Una percentuale anche più alta non ha mai cercato aiuto presso i servizi di assistenza sanitari predisposti. “Tra le violazioni dei diritti umani, la violenza di genere è la più diffusa e socialmente tollerata. Un riflesso delle discriminazioni sociali, che oltre a compromette la salute fisica e psicologica della persona, ne calpesta la dignità”, commenta Daniela Columbo, direttore dell’Associazione italiana donne per lo sviluppo (Aidos), una associazione non governativa che opera nei paesi in via di sviluppo per la tutela della popolazione femminile. “I responsabili rimangono in larga misura impuniti anche a causa di una reticenza e di un retaggio culturale femminile nel denunciare gli aggressori, specie se sono membri della famiglia”.In varie località dello studio Oms, la maggior parte delle donne ritiene che in alcune circostanze sia ammissibile e giustificabile che un uomo picchi la moglie, per esempio se lei non obbedisce, se non si concede sessualmente, se non fa bene i lavori di casa o, ancor di più, se è infedele. A sostenere questa posizione sono soprattutto donne con un vissuto di violenza domestica, che imparano, in un certo senso, ad accettare e a considerare “normali” le punizioni corporali. Un atteggiamento particolarmente radicato nelle località rurali, provinciali e più tradizionali.È un dato importante, perché nonostante la violenza domestica sia un problema trasversale, che riguarda tanto i paesi più poveri quanto quelli più ricchi, ci sono contesti in cui le norme sociali rinforzano la condizione di debolezza e subalternità delle donne. Secondo l’Oms agire a questo livello può essere strategico per trasformare le relazioni di genere.La violenza ha tante facce e quella domestica è forse la più diffusa, ma non la sola. A livello mondiale, il rapporto annuale sullo stato della popolazione mondiale dell’Unfpa, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, stima che un terzo delle donne è sottoposta nel corso della vita ad abusi fisici, sessuali, economici, verbali o psichici. Questo ha un prezzo sociale e sanitario altissimo: nell’età riproduttiva, la violenza uccide o rende invalide tante donne quanto il cancro, più della malaria, degli incidenti stradali e di ogni altri fattori di rischio compreso il fumo. Inoltre, come sottolinea Columbo, “ai problemi fisici si sommano i disturbi emotivi, che si ripercuotono sulla vita di una donna, a partire dalla capacità lavorativa”. Prevenire e modificare lo stato delle cose è possibile. L’Oms fa appello ai governi, perché attuino programmi mirati di tipo sanitario, educativo e legale. “Non c’è niente di naturale o inevitabile”, conclude il rapporto, “nella violenza maschile sulle donne. I comportamenti possono e devono cambiare, la violenza è una componente inaccettabile delle relazioni umane”. È dai giovani che si deve partire e intervenire, concorda la presidente Aidos: “Ci sono un miliardo e mezzo di adolescenti nel mondo. Se riusciamo a cambiare il cuore e la mente dei ragazzi, possiamo sperare in un futuro dove i rapporti di genere siano migliori”.

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