West nile: contagi in aumento, ecco come proteggersi

zanzara tigre

Crescono i contagi dovuti al West Nile virus: sono 42 le infezioni negli esseri umani registrate nel 2022, confermate dall’ultimo report di sorveglianza della malattia a cura dell’Istituto superiore di sanità (Iss); le regioni colpite sono l’Emilia-Romagna, il Veneto, il Piemonte e la Lombardia. La prima infezione umana di quest’anno era stata rilevata lo scorso giugno, in provincia di Padova: da allora sono state registrate cinque morti, tutte dovute alla forma neuro-invasiva della malattia, una manifestazione rara dell’infezione da West Nile virus, ma che può avere esiti anche molto gravi. Al momento non sono disponibili né terapie né vaccini specifici.

Cos’è il West Nile virus e che malattia provoca

Il virus West Nile è un virus della famiglia dei Flaviviridae, individuato per la prima volta nell’omonima regione dell’Uganda settentrionale, in Africa, ma ormai endemico in Europa meridionale, orientale e occidentale. Il virus è trasmesso dalle zanzare (soprattutto del tipo Culex) e per sopravvivere instaura un ciclo di riproduzione e diffusione che coinvolge alcune specie di uccelli selvatici (sono infatti gli uccelli migratori che si spostano dall’Africa subsahariana, dal Nord Africa o dal Medio Oriente a portare il virus in Europa). Nonostante i suoi ospiti naturali siano le zanzare e gli uccelli, il West Nile virus può contagiare, attraverso la puntura di zanzare infette, alcuni mammiferi (principalmente cavalli, ma anche gatti, cani e conigli) e gli esseri umani, causando una zoonosi che prende il nome di malattia di West Nile. Tra le altre vie di trasmissione, seppur rare, sono state documentate trasfusioni di sangue infetto, trapianti d’organo e trasmissione tra madre e feto durante la gravidanza, attraverso la placenta


Zanzare e malattie: primi successi per gli insetti geneticamente modificati


Come riporta l’Istituto superiore di sanità (Iss), dal momento della puntura della zanzara l’incubazione del virus varia tra i 2 e 14 giorni, ma può arrivare anche a tre settimane nelle persone immunodepresse. L’infezione da West Nile virus negli esseri umani ha manifestazioni piuttosto eterogenee: nella maggior parte dei casi, le persone infette non manifestano alcuna sintomatologia, mentre il 10-20% di esse può presentare sintomi aspecifici, tipici di una sindrome simil-influenzale, come febbre, mal di testa, dolori muscolari, nausea, vomito, linfonodi ingrossati e sfoghi cutanei. Questa manifestazione clinica, che è la più comune, prende il nome di febbre del West Nile, in genere ha un decorso di circa una settimana e guarisce spontaneamente. Tuttavia, in una minima percentuale di persone infette (meno dell’1%), in particolare in quelle immunodepresse e nelle persone anziane, l’infezione da West Nile virus può manifestarsi nella cosiddetta forma neuro-invasiva, provocando febbre alta, forti mal di testa, debolezza muscolare, disorientamento, tremori, disturbi alla vista, torpore, convulsioni, fino alla paralisi e al coma. In circa un caso su mille il virus può causare gravi encefaliti o meningiti che possono avere anche esiti fatali.

Come riporta l’Iss, non esiste un vaccino per la febbre del West Nile, per la quale le principali azioni di prevenzione consistono soprattutto nel ridurre l’esposizione alle punture di zanzare e impedire la loro riproduzione. Anche per quanto riguarda i trattamenti, non esistono terapie specifiche: nella maggior parte dei casi, i sintomi scompaiono da soli dopo qualche giorno, mentre nei casi che necessitano il ricovero in ospedale, i trattamenti sono solo diretti verso i sintomi e comprendono la somministrazione di soluzione fisiologica endovena e la respirazione assistita.

La situazione in Italia e in Europa

Proprio a causa dell’assenza di terapie o vaccini specifici, per le azioni di contenimento del West Nile virus diventa molto importante la sorveglianza epidemiologica: in Italia, infatti, essa è regolata dal “Piano nazionale di prevenzione, sorveglianza e risposta alle arbovirosi 2020-2025”. Questo documento integra la sorveglianza veterinaria del virus (che è fondamentale per la determinazione del rischio) e quella umana, che monitora le infezioni da West Nile virus per tutto l’anno sull’intero territorio nazionale e dai primi di maggio a novembre nelle regioni considerate endemiche.

Come riporta l’ultimo bollettino della sorveglianza epidemiologica, curato dall’Iss e dall’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “Giuseppe Caporale” (Izs Teramo), dall’inizio di giugno 2022, quando è stato confermato il primo caso dell’anno in Italia, sono stati segnalati 42 casi confermati di infezione da West Nile virus negli esseri umani, di cui 15 solo la settimana scorsa. Di tutti i contagi, 21 di essi si sono manifestati nella forma neuro-invasiva (7 in Emilia-Romagna, in  12 Veneto, 2 in Piemonte), 12 casi sono stati identificati in donatori di sangue e 9 casi si sono manifestati con la febbre del West Nile (uno in Lombardia, 7 in Veneto e uno in Emilia-Romagna). Tra i casi confermati, sono stati segnalati cinque decessi (3 in Veneto, uno in Piemonte e uno in Emilia-Romagna) e sono in corso di conferma tre casi neuro-invasivi in Veneto, di cui due sono già deceduti. 

Sono stati rilevati casi di infezioni da West Nile virus anche in altri paesi europei: come riporta lo European center for disease prevention and contol (Ecdc), dall’inizio della stagione di trasmissione del 2022 al 27 luglio 2022, i paesi dell’Unione europea hanno segnalato 55 casi di infezione da West Nile virus negli umani: oltre all’Italia, infatti, sono stati riportati 12 contagi in Grecia e uno in Slovacchia. Tra i paesi limitrofi a quelli dell’Unione europea, sono stati segnalati 16 casi in Serbia. Le azioni di sorveglianza continueranno per tutta la stagione estivo-autunnale 2022.

via Wired.it