Virus influenzali, un solo anticorpo per colpirli tutti

Per i virus influenzali si prospettano tempi duri. Dopo la discussa epidemia causata da H1N1, gli scienziati hanno cercato di sperimentare metodi alternativi per contenere le infezioni. È il caso del nuovo anticorpo che colpisce l’emoagglutinina (Ha), una proteina presente in entrambi i gruppi dei virus influenzali (I e II). La molecola, scoperta dai ricercatori dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina (Irb) di Bellinzona, potrebbe avere importanti risvolti nelle terapie di immunizzazione passiva.

L’anticorpo contro tutti i virus influenzali – il primo mai ritrovato finora – riconosce il suo bersaglio (epitopo) in una regione molto insolita di Ha. Studiando la particolare forma a fungo della proteina, gli scienziati hanno scoperto che il suo ‘punto debole’ si trova una regione situata sul gambo piuttosto che sul ‘cappello’. I primi super-anticorpi potrebbero essere pronti tra pochi anni, ma lo stesso non varrà per il conclamato vaccino universale. Galileo ha chiesto il perché ad Antonio Lanzavecchia, immunologo e direttore dell’Irb.

Professor Lanzavecchia, qual è il carattere più innovativo della vostra scoperta?

“Come prima cosa, abbiamo messo a punto un nuovo metodo per isolare gli anticorpi contro l’influenza direttamente dalle plasmacellule umane. Dopo aver studiato le risposte immunitarie di 104 mila campioni provenienti da otto donatori, abbiamo individuato una cellula in grado di produrre un anticorpo che neutralizza tutti i gruppi virali. Studiando la struttura di questa molecola, abbiamo individuato una sua corrispondenza con un epitopo della proteina virale emoagglutinina (Ha) altamente conservato sia nel gruppo I che nel II. Una vera conquista, visto che prima d’oggi si pensava che un caso del genere non esistesse”.

Perché è tanto raro trovare un anticorpo in grado di colpire entrambi i gruppi virali?

“Trovare un epitopo conservato in entrambi i gruppi era impossibile fino a poco tempo fa. Alcuni nostri studi precedenti avevano dimostrato l’esistenza di regioni conservate per il gruppo I (di cui fa parte H1), risolvendo il problema solo a metà. I virus influenzali, infatti, sfuggono molto facilmente agli anticorpi che riconoscono il ‘cappello’, ovvero la porzione superiore della proteina Ha. Ora, abbiamo invece scoperto che il bersaglio ideale è il ‘gambo’ inferiore, perché presenta degli epitopi relativamente più conservati. Questo alto livello di conservazione è dovuto probabilmente alla impossibilità per il virus di modificarsi in questa regione di Ha senza perdere la sua capacità infettante”.

Siamo dunque di fronte alla possibilità di sviluppare un vaccino unico più efficace di uno trivalente?

“Le informazioni che abbiamo raccolto potrebbero senz’altro rivelarsi utili per elaborare un vaccino che protegga da tutti virus influenzali, ma se ne riparlerà in futuro. In primis, disponiamo di un anticorpo che potremmo utilizzare per curare pazienti con forme gravi di influenza o per prevenire le infezioni. Mi riferisco a un utilizzo degli anticorpi tali e quali, come nella sieroterapia contro il tetano e la rabbia. Il grande vantaggio di questa vaccinazione passiva, che dura da poche settimane a qualche mese, è quello di essere indipendente dalla risposta immunologica dei pazienti. Infatti, sebbene funzioni, l’attuale vaccino influenzale non induce alcuna risposta in circa il 30% dei casi, soprattutto negli anziani e nelle altre categorie a rischio”.

Quali ulteriori sforzi richiederebbe lo sviluppo di un vaccino unico?

“La produzione di un vaccino da utilizzare per l’immunizzazione attiva si baserà sulla struttura dell’epitopo, chiarita grazie alle informazioni raccolte con gli studi cristallografici eseguiti in collaborazione con il National Institute for Medical Research di Londra. Tuttavia non sarà un lavoro facile, perché l’epitopo individuato sul ‘gambo’ di Ha è del tipo subdominante. Questo significa che la risposta immunitaria indotta è molto minore rispetto a quella sperimentata nei confronti del ‘cappello’. Si tratta purtroppo di una questione intrinseca a qualsiasi antigene. Infatti, secondo alcune ragioni che non comprendiamo ancora a sufficienza, il sistema immunitario si indirizza verso certi bersagli piuttosto che altri. Stiamo collaborando con diversi gruppi di ricerca per studiare nuovi approcci che ci aiutino a manipolare il nostro epitopo e a trasformarlo in dominante”.

Quanto tempo ci vorrà prima di veder utilizzati i vostri anticorpi nelle terapie di immunizzazione passiva?

“Il processo per validare l’utilizzo dell’anticorpo come farmaco richiederà almeno cinque anni di ulteriori test. In particolare, i risultati ottenuti dal nostro gruppo di ricerca verranno sviluppati grazie alla nascita di Humabs, uno spin-off aziendale incubato all’interno dell’Irb. Con il passare del tempo, potremmo anche arrivare a immaginare nuovi impieghi alternativi della nostra scoperta. Un’idea potrebbe essere quella di trapiantare l’epitopo Ha su una seconda proteina adatta a aumentare la risposta immunitaria e indurre così la produzione diretta di anticorpi universali da parte dell’organismo”.

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