L’elettroencefalografia per le malattie neurodegenerative

L’innovazione tecnologica in ambito biomedico ha consentito, negli ultimi anni, lo sviluppo di metodi sempre più sofisticati per la valutazione e la diagnosi delle malattie neurodegenerative – come le procedure di neuroimaging. Nonostante ciò un nuovo approccio nell’analisi dell’attività elettrica del cervello registrata per mezzo dell’elettroencefalografia (EEG) – sistema già in uso nella prima parte del secolo passato – potrebbe rivelare alcuni dei meccanismi che contraddistinguono il decorso di patologie quali Parkinson e Alzheimer. Ne abbiamo parlato con Claudio Babiloni, docente di Fisiologia dell’Università la Sapienza di Roma e uno degli autori di una ricerca sull’argomento di prossima pubblicazione.

Dottor Babiloni, quale tipo di dati possiamo ricavare dall’ascolto dei segnali elettrici provenienti dal cervello?
Quello che vogliamo mostrare con la nostra ricerca è che determinate frequenze elettriche mappate dalle elettroencefalografie sono comuni a diversi problemi neurologici. Lo studio, inoltre, ha messo in luce come le differenze con cui si manifestano i differenti processi patologici si riflettano nell’ampiezza e nella ritmicità dei segnali cerebrali. Questo, tuttavia, non ci autorizza ad affermare che, per usare una metafora, esistano canzoni o accordi distinti che caratterizzino le varie malattie neurodegenerative; ma, grazie a un’analisi matematica quantitativa delle frequenze e una misura della variabilità nel tempo delle registrazioni effettuate tramite l’EEG, è possibile arricchire la valutazione del quadro clinico di un paziente.

In che modo l’analisi dei tracciati dell’EEG può aiutarci nella comprensione e nella cura delle malattie neurodegenerative?
Lo studio di queste patologie attraverso l’interpretazione degli andamenti elettroencefalografici ci permette di capire il funzionamento neurofisiologico delle connessioni funzionali tra alcune strutture della corteccia cerebrale dei pazienti. La comprensione delle alterazioni corticali associate alle malattie ci mette nella condizione di poter determinare la topologia di tali disfunzioni, e cioè le regioni e le zone cerebrali in cui esse si manifestano. Questi dati, che affiancano il lavoro diagnostico, possono risultare fondamentali nella scelta e nella modulazione dei trattamenti da offrire.

Perché, quando ci si occupa di Parkinson, di Alzheimer o di patologie simili, è così importante cercare di implementare sistemi, come quello da voi presentato, in grado di aumentare la conoscenza delle condizioni cliniche dei singoli pazienti?
Il tratto distintivo che accomuna tutte le malattie neurodegenerative è la complessa natura dei sintomi con cui si manifestano. Per esempio, due pazienti affetti dallo stesso problema, che presentassero le stesse caratteristiche cliniche, potrebbero avere, alla luce di analisi complete e approfondite, funzionamenti neurofisiologici e ritmicità cerebrali differenti, una più patologica e l’altra meno patologica. Queste informazioni possono essere importanti in vista di una intensificazione delle terapie o di una riduzione dei tempi di controllo per la persona con un quadro maggiormente critico. L’obiettivo del nostro lavoro e di tutti gli esperti impegnati in questo campo di ricerca è quindi quello di cercare di accrescere la conoscenza di queste malattie e della loro fenomenologia, nel tentativo di proporre ai pazienti le migliori cure possibili.

Credits immagine: Karissa (Does Not Explain It All) via Compfight cc

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