Il libro inchiesta sui giovani e l’alcol

Alessandra Di Pietro
Il gioco della bottiglia. Alcol e adolescenti, quello che non sappiamo
Add Editore, 2015
pp. 190, Euro 14,00

Luoghi comuni e dati statistici sono spesso in contraddizione, soprattutto quando sotto i riflettori c’è l’alcol. Per esempio: è vero che negli ultimi anni l’alcoolismo giovanile è aumentato? È vero che bere un buon bicchiere di vino a tavola fa bene agli adulti? È vero che anche una birra bevuta con gli amici può seriamente danneggiare il sistema nervoso di un adolescente?

In questo libro Alessandra Di Pietro prova a fare un po’ di chiarezza sull’argomento, affrontando il punto di vista medico scientifico e quello psicosociale e culturale. Le interviste realizzate nella doppia veste di madre e di giornalista cominciano col presentare le considerazioni dei ragazzi sul loro rapporto con l’alcool, rivelando paesaggi mentali molto interessanti. Successivamente, a colloquio con esperti qualificati, Di Pietro raccoglie e mostra dati che mettono in evidenza i danni provocati dall’alcool sull’organismo, i rischi della dipendenza, gli effetti del marketing ma, soprattutto, le ragioni per cui i ragazzi “bevono”.

Espad, un progetto europeo che indaga sull’alcoolismo degli studenti attraverso questionari anonimi, documenta che in Italia la situazione non è ancora allarmante. Circa due milioni di studenti hanno bevuto alcool almeno una volta in un anno, e circa 500.000 hanno bevuto 20 volte o più durante l’anno. Si distinguono quindi current drinkers da frequent drinkers: la percentuale dei current drinkers e dei binge drinkers è in leggera diminuzione nel tempo, mentre sono aumentati i consumatori di alcolpops, bibite alcooliche con sapore di frutta; le ubriacature tra i maggiorenni sono aumentate ma quelle tra i minorenni sono diminuite.

Nel pensiero comune l’alcool danneggia il fegato; nella realtà scientifica si dimostra che è un potente cancerogeno e che provoca danni irreversibili al sistema nervoso impedendone la maturazione, cioè bloccandolo nei giovani ad uno stadio infantile. Documentazioni risalenti a più di 6.000 anni sull’abituale consumo di vino sembrerebbero smentire queste previsioni catastrofiche, unite alle esperienze familiari di nonni e zii che sempre accompagnavano i loro pasti con qualche bicchiere di vino senza danni apparenti. Ma i risultati di studi recenti, che coinvolgono la biochimica, la fisiologia, la nutrizione, sono abbastanza espliciti nel presentare, anche per gli adulti, dati tutt’altro che rassicuranti.

Resta da capire le basi psicologiche di certi comportamenti. Perché i ragazzi bevono? Per darsi coraggio, per superare inibizioni, per essere loquaci ed euforici. Per infrangere le (poche) leggi che regolamentano questo settore, e per sfidare il controllo delle famiglie, che spesso viene eluso. In questo caso è Federico Tonioni, medico, psichiatra e psicanalista al Policlinico Gemelli di Roma, a guidare i lettori in questo campo, analizzando con ironia il diritto dei giovani di far preoccupare i genitori e invitando i genitori ad entrare in maggiore intimità coi propri figli, “che si conoscono con le trattative e non con l’ubbidienza”. Per riuscire a costruire rapporti positivi, Tonioni ricorda che l’autonomia di ogni singola persona è il risultato di un insieme di dipendenze sane che riempiono la vita di significato, e che possono tenere i ragazzi lontani da dipendenze patologiche, come l’alcool, la droga, il gioco d’azzardo e altro. Se un figlio non racconta a casa delle sue bevute o dei suoi binge-drinking (cioè il bere cinque o sei dosi di alcool di seguito) vale la pena di indagare non sulla sostanza ma sui disagi che lo portano a chiudersi.

Le conclusioni dell’inchiesta propongono dunque dei consigli ai genitori, privilegiando un approccio psico-sociale al problema rispetto ad uno sanitario-repressivo. La famiglia deve impegnarsi a mandare messaggi positivi e garantire comunque appoggio e sostegno (anche quando i ragazzi tornano a casa in stato di ubriachezza!); la fiducia nei propri figli, l’astensione da prediche inutili, il dialogo e la compartecipazione di esperienze sembrano essere, anche nel caso di comportamenti a rischio, la miglior forma di prevenzione.

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