Curare il Parkinson con le cellule staminali fetali

Una nuova speranza per i malati di Parkinson. Per la prima volta il trapianto di cellule staminali neuronali di origine fetale nel cervello di pazienti affetti da Parkinson ha dato risultati terapeutici positivi, che si sono protratti per diversi anni. Sono questi i risultati presentati in uno studio effettuato presso il McLean Hospital dell’Harvard University negli Stati Uniti e pubblicato su Cell Report. In esso, i ricercatori hanno studiato la morfologia delle cellule staminali fetali trapiantate anni prima nel cervello di cinque pazienti e hanno dimostrato che queste cellule non si ammalavano, ma rimanevano sane e funzionali per ben quattordici anni con conseguente miglioramento dei sintomi della malattia.

Il trapianto di cellule staminali in pazienti affetti da Parkinson è già stato provato in precedenza, ma senza molto successo. Nella maggior parte dei casi le cellule esogene una volta trapiantate nel cervello dei pazienti si “ammalavano” anche loro di Parkinson, e presentavano i tipici processi di degenerazione funzionale che colpivano i neuroni “endogeni”.

Nel loro studio, durato circa 20 anni, gli autori hanno usato una tecnica diversa da quelle precedenti per impiantare le cellule staminali fetali nel cervello dei pazienti. Infatti, invece di usare un ago spesso per trasferire pezzi relativamente grandi e compatti di neuroni dopaminergici, che avrebbe potuto danneggiare le cellule stesse, si sono serviti di un ago sottile per iniettare un volume piccolo di una soluzione contenente le cellule neuronali fetali direttamente nel mesencefalo dei soggetti interessati.

Finora 25 pazienti in tutto il mondo sono stati sottoposti a questo tipo di trattamento. Tutti i soggetti coinvolti nello studio erano in una fase terminale della malattia e dopo l’operazione avevano riportato un netto miglioramento dei sintomi che si era protratto per diversi anni ed era associato a riduzione dell’uso di farmaci. Nella maggior parte dei casi, i pazienti erano deceduti per cause non correlate con la malattia di cui avevano sofferto.

Per capire a cosa fosse dovuta la riduzione e in alcuni casi la scomparsa dei sintomi tipici di questa patologia, i ricercatori hanno effettuato un’analisi morfologica dettagliata del cervello di cinque di questi pazienti subito dopo il decesso. Usando tecniche di immunofluorescenza su sezioni del mesencefalo ottenute al momento dell’autopsia, hanno monitorato l’espressione delle proteine responsabili del trasporto della dopamina, o DAT (dopamine transporter), nelle terminazioni nervose presinaptiche, e la struttura e presenza dei mitocondri, gli organelli che producono energia, la cui funzione si riduce con il progredire della malattia, e hanno paragonato i risultati ottenuti nei neuroni trapiantati a quelli dei neuroni malati.

“Il pattern nei due tipi di cellule era molto diverso” – spiega Ole Isacson, responsabile dello studio. “I neuroni endogeni mostravano chiari segni di atrofia e modificazioni patofisiologiche tipiche, quali accumulo della proteina alfa-sinucleina, formazione dei corpi di Lewy e alterazione dei mitocondri, mentre il fenotipo di quelli “esogeni” era perfettamente normale”. Infatti, le cellule trapiantate erano sane e normalmente connesse tra loro anche dopo molti anni, esprimevano livelli normali delle proteine DAT, il che spiegava perché i soggetti non avevano bisogno di usare farmaci, e contenevano mitocondri strutturalmente normali e funzionali.

Secondo l’autore, questa ricerca dimostra chiaramente che il trapianto ha funzionato e che le cellule trapiantate sopravvivono e non “si ammalano”, diversamente da quanto riportato in altri studi. Da un punto di vista terapeutico, i risultati sono molto importanti perché potrebbero rappresentare il punto di partenza per lo sviluppo di nuove terapie basate sul trapianto di cellule neuronali fetali.

Il limite maggiore di questo approccio è rappresentato dal fatto che è difficile ottenere cellule staminali da tessuti fetali in maniera sistematica per poter trattare tutti i pazienti affetti da questa malattia degenerativa. Inoltre, dal momento del trapianto sono necessari mesi o addirittura anni perché i neuroni fetali maturino, si integrino nel cervello dell’ospite e comincino a funzionare.

“Per questo motivo – conclude Isacson – il passo successivo della terapia basata sulle staminali per il trattamento del Parkinson sarà quella di usare fonti alternative di neuroni dopaminergici, ottenuti per esempio dalle cellule pluripotenti indotte (iPS) ottenute dai pazienti stessi, il che faciliterebbe l’accesso al materiale da trapiantare e ridurrebbe i rischi associati al trapianto stesso”.

Riferimenti: Cell Reports DOI: http://dx.doi.org/10.1016/j.celrep.2014.05.027

Credits immagine: juliendn/Flickr

1 commento

  1. Sono stato operato il 28 agosto del 2014 di D:B:S: ma non sono contento perchè devo prendere sempre troppe pastiglie di Stalevo e di Sirio altrimenti ho dei blocchi motori, anche se devo dire, che non ho più le discinesie e potrei essere già contento di questo.
    La mia idea è sempre stata al trapianto di staminali, il mio neurologo mi ha detto che se c’erano le condizioni potevo sempre fare il trapianto di cellule staminali, e che il DBS non eliminava le possibilità di un eventuale trapianto.
    Ora le chiedo è tutto vero questo? Vorrei essere incluso nella lista per il trapianto

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