Chi deve correggere le prove INVALSI?

Nel corso del convegno“Ricordando Daniela Furlan. Riflessioni sul fare scienze a scuola” (Spinea, 17 – 19 giugno 2015) Paolo Mazzoli, Direttore generale dell’Invalsi, l’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo di Istruzione e di formazione, si è confrontato con i docenti partecipanti sul sistema di valutazione della scuola italiana, raccogliendo critiche e suggerimenti e rispondendo ad alcune domande. Qui trovate le risposte alle domande precedenti.

 

Gli insegnanti si lamentano del carico di lavoro aggiuntivo non retribuito dovuto alla correzione dei test. Le risposte del Direttore generale dell’Istituto di valutazione

di Paolo Mazzoli

La “somministrazione” e la correzione interna, oltre a costituire un ingiusto carico di lavoro non riconosciuto e retribuito, può non garantire l’affidabilità dei risultati. Se l’obiettivo è una valutazione di sistema, non sarebbe meglio un’indagine campione, che farebbe anche risparmiare risorse?

Per prima cosa vorrei ricordare qual è la missione del nostro Istituto. “Art. 3. Compiti dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione. L’Istituto effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell’offerta formativa delle istituzioni di istruzione e di istruzione e formazione professionale, anche nel contesto dell’apprendimento permanente”. [D. Lgs. 286/2004]

Penso che l’indagine a campione e l’indagine su tutte le scuole non siano affatto equivalenti. Nel campo delle prove gli scopi dell’Invalsi sono almeno due:

 la valutazione di sistema;

 la restituzione alle scuole per la loro informazione e formazione.

Una indagine a campione permetterebbe la valutazione di sistema ma le scuole non potrebbero disporre dei propri risultati. Inoltre una singola scuola potrebbe voler sapere anche cosa succede nel territorio, per confrontarsi o per differenziarsi dalle altre scuole, trovando nei dati degli stimoli per funzionare meglio, anche se si trova in un territorio disgregato. L’Invalsi dà, in un’unica tabella, i risultati di classe e di istituto, il valore medio della scuola, il valore medio della provincia e della regione, e i risultati ottenuti dalle scuole con lo stesso background socio-economico.

Supponiamo di lavorare in un istituto comprensivo con determinate caratteristiche, con otto classi quinte. A un insegnante serve sapere, oltre al valore della propria classe, anche il valore generale della scuola? Gli servono informazioni sulla situazione dei ragazzi e del territorio, per confrontarsi ed avviare miglioramenti? Io credo di sì. Il confronto ha senso, però, se le classi sono fatte bene, cioè se sono ugualmente eterogenee o “equieterogenee”; i nostri dati, invece, mostrano evidenti anomalie. Come Invalsi saremmo fortemente in disaccordo con una riforma che volesse ridurre l’equivalenza tra le classi; ma non abbiamo potere decisionale e possiamo solo segnalare le realtà che abbiamo constatato.

Sappiamo infatti che nel nord le classi sono di solito fatte in modo più equo, magari per sorteggio, e notiamo anche che la varianza tra le classi nel centro-nord è molto minore della varianza tra le classi nel sud. Ci possono essere due ragioni: o vengono raccolti in una classe gli studenti migliori o vengono assegnati a una classe gli insegnanti migliori. Non è credibile che, per puro caso, data una leva di duecento alunni, i ragazzi migliori vengano a trovarsi solo in una o due classi. Un’elevata variabilità tra le classi dei risultati Invalsi fa capire che i presidi, sistematicamente e deliberatamente, hanno “segregato” nelle classi i gruppi dei migliori, dei medi o dei peggiori; oppure che ci sono consigli di classe nettamente migliori di altri. In alcune zone del sud la varianza tra le classi è diminuita sensibilmente quando dei gruppi di docenti, hanno lavorato con coraggio alla composizione per sorteggio, opponendosi agli amici dei genitori, agli amici dei presidi… al figlio del medico, o dell’assessore, che doveva andare nelle classi migliori. Purtroppo non si possono eliminare dall’oggi al domani i presidi che non fanno bene il loro mestiere e che, per dare retta alle varie richieste, creano classi buone e classi che vanno alla deriva, classi di serie A e classi di serie B.

Per quanto riguarda la fatica di correggere le prove Invalsi la mia risposta vi sembrerà un po’ ruvida ma devo francamente dire che la storia della correzione delle prove vista come un’odiosa ingiustizia mi lascia perplesso.

Intanto vorrei dividere il problema in due. Mentre la somministrazione dei test non è particolarmente pesante rispetto alle normali attività di classe, la correzione è effettivamente molto lunga e noiosa. Per questo stiamo facendo un grosso sforzo per passare da prove carta-e-penna a prove informatizzate. Pensiamo che nel 2017 i ragazzi di seconda superiore potranno svolgere le prove su computer, in modo che sia più facile correggerle. Probabilmente la somministrazione resterà a carico dei docenti, inclusa nell’orario scolastico, senza comportare alcun problema particolare. E, probabilmente entro il 2018-2019, anche le prove di terza media e quinta primaria si svolgeranno al computer.

Ma quello che contesto è che gli insegnanti mi dicano: “così noi lavoriamo per l’Invalsi”. Perché siamo tutti parte della scuola pubblica: l’Invalsi ha un mandato politico e risponde ad una legge dello Stato che le attribuisce dei compiti che devono essere svolti. C’è stato un processo democratico che, attraverso questa norma, ha definito il compito dell’Invalsi (che magari lo adempie male, ma non è questo in discussione). Lo Stato ha stabilito per legge che l’Invalsi debba dare dati attendibili sulla bontà del sistema scolastico italiano: si vuole sapere se la scuola va bene o va male; dove, quanto e come va bene o va male. Dal momento che questa è la richiesta, questo deve essere fatto. Lo Stato dispone di modeste risorse economiche, e questo impedisce di mandare nelle scuole un adeguato numero di correttori. Riusciamo a pagare i somministratori e i correttori delle classi campione, ma nelle altre l’indagine si può fare soltanto con la collaborazione dei docenti.

Non mi sembra (e non posso accettare) che dedicare un po’ di tempo all’esigenza della comunità nazionale, per sapere come va la propria scuola, sia lavorare ad un progetto estraneo o per un soggetto estraneo; e non mi sembra che questo non riguardi la professione docente. Sarebbe come dire: io faccio il mio lavoro in classe ma le riunioni di organizzazione della scuola o il collegio docenti non mi interessano e non voglio parteciparvi perché non mi coinvolgono direttamente. Magari ci sono docenti che lo dicono davvero. Ci sono degli atteggiamenti individualisti per cui si pensa che il proprio compito riguardi solo ed esclusivamente la propria didattica. Se la scuola propone altri progetti, per esempio sulla legalità o sulla biblioteca o su altro, magari si approvano ma non ci si sente impegnati a partecipare. Il fatto che i progetti collettivi sembrano non riguardare i singoli porta a una divisione molto discutibile dei compiti nelle scuole. Fino a che punto si può dire: “no grazie, non sono interessato” quando vengono proposte delle iniziative per la scuola? Se un parlamento decide che tre ore dell’attività di un insegnante non servono esattamente per la sua didattica ma per la sua scuola o per il suo territorio o per il suo paese, e questo sembra all’insegnante un compito estraneo, vuol dire l’insegnante ha poca consapevolezza della sua funzione docente. Quindi io spero che la correzione non sia più fatta dai docenti, ma non perché penso che sia un ingiusto carico, estraneo al loro lavoro. Penso invece che le scuole non possono sottrarsi ad un compito che ritengo fondamentale, penso che le scuole pubbliche debbano partecipare a operazioni di sistema, che gli insegnanti debbano sapere come collocarsi nella propria scuola e rispondere ai cittadini sulla funzionalità del sistema stesso.

L’Invalsi sarebbe felicissimo di non ricevere decine di proteste e diffide per la richiesta di correzione ma, secondo me, proteste e diffide sono un brutto segnale, perché implicano un’idea dei compiti del docente che riguarda esclusivamente la propria attività di classe. E questo non va bene. È certamente gravoso correggere le tante crocette delle prove, ma è altrettanto gravoso correggere pacchi di compiti o di schede la domenica pomeriggio. Buona parte di questi compiti potrebbe essere eliminata da una didattica diversa, indipendentemente dall’Invalsi. In questi casi, però, l’insegnante si sente obbligato a lavorare perché i bambini sono “suoi” mentre, se si chiede di farlo anche per bambini di altri, allora compaiono le proteste. Dunque qualcosa non va, come non va nelle università dove ci si occupa delle proprie lezioni senza partecipare alla vita collettiva di dipartimento.

Si potrà forse cancellare la norma sulla correzione, ma se l’Invalsi deve assolvere i suoi compiti di valutazione, lo deve fare per la via maestra, guardando in faccia le scuole, in quanto è parte del sistema scuola. Se una valutazione di sistema non deve essere fatta, va bene ugualmente; ma voglio che sia una forza politica, regolarmente eletta per governare a dire che “l’Invalsi non serve”. Non basta la scontentezza degli insegnanti, perché la decisione sulla esigenza di essere o no informati sulla qualità della scuola deve essere presa attraverso processi democratici e condivisi.

(7-segue)

Credits immagine: Arthur Cruz/Flickr

1 commento

  1. RAI Tre ha trasmesso le lamentele di Capi Istituto o Presidi che con l’ultima giusta, ma caotica ifornata di Inseg. di ruolo, si sono visti capitare docenti inadatti al tipo di Scuola in un caso ad un L.Sc. maestri d’arte, Ins. di bricolage et similia. Se ciò rispondesse a verita saremmo veramente nel pi grande classico pressapochismo che da secoli ci distingue. Spero che si tratti di notizia scandalistica e che, perlomeno per la”BUONA Scuola” esista preparazione professionale e serietà!

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