Cosa prevede il piano di conservazione del lupo

L’allarme è partito nelle scorse settimane: il ministero dell’Ambiente vuole permettere l’abbattimento legale dei lupi. A spaventare in particolare è il nuovo Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia, preparato dal ministero con la consulenza dell’Unione zoologica italiana, che sembrerebbe autorizzare l’uccisione di circa 60 esemplari ogni anno. Contro questa proposta, che andrà discussa nei prossimi mesi nella Conferenza Stato Regioni, si è schierato da subito il Wwf, con unapetizione online per chiedere di non concedere deroghe al divieto di abbattimento dei lupi, seguito rapidamente anche dalla Camera, che con un ordine del giorno (prima firmataria la cinquestelle Patrizia Terzoni) approvato il 18 febbraio ha impegnato il governo a vietare ogni azione finalizzata all’abbattimento del lupo (salvo poi rimandare ad approfondimenti sulle deroghe già previste dalla normativa vigente). Visti gli sforzi fatti negli ultimi decenni per riportare questi animali sulle nostre montagne, tornare a ucciderli legalmente sembra in effetti una vergogna.

Ma è davvero così? La verità, come capita spesso, è nel mezzo.

Per capire la questione è meglio fare un passo indietro, e ripercorrere la storia di questi animali nel nostro paese. Negli anni’70 la condizione dei lupi italiani sembrava disperata: nella penisola restavano infatti non più di un centinaio di lupi, concentrati principalmente in alcune zone dell’Appennino, mentre sull’arco alpino di questi animali non vi era più traccia. Grazie alla messa al bando della caccia al lupo, arrivata nel 1971, e all’impegno di esperti e ambientalisti, negli ultimi 50 anni la condizione di questi animali è migliorata parecchio. Oggi si stimano tra i mille e i duemila esemplari in Italia, ancora concentrati per lo più nelle regioni appenniniche, da cui però hanno iniziato a ricolonizzare anche le Alpi. Non si può dire che sia una specie fuori pericolo insomma, ma di certo l’impegno indifesa dei lupi sta dando risultati, se pensiamo che in Francia e in Svezia le stime parlano di circa 300 lupi, mentre in tutta la Germania non si contano oggi più di una ventina di branchi.

È in questo contesto che si inserisce il nuovo Piano di conservazione e gestione del lupo. A tutelare questi animali oggi è la direttiva comunitaria Habitat, del 1992, recepita dall’ordinamento italiano con il Dpr n. 357 del 1997. A queste norme, realative a tutte le specie protette e che non verrebbero modificate, il nuovo piano del ministero dell’Ambiente aggiungerebbe una serie di direttive per la gestione specifica del lupo sul nostro territorio, e tra queste compare la possibilità di abbattimenti selettivi di esemplari particolarmente problematici. Una possibilità già contemplata dalle leggi comunitarie, che permettono la richiesta da parte degli stati nazionali di deroghe al divieto di abbattimento, strumento utilizzato negli ultimi anni da paesi come Francia, Spagna e Svezia, ma mai applicato fino ad oggi nel nostro paese.

Per chiedere l’abbattimento dei lupi in deroga alla direttiva Habitat attualmente esistono quattro condizioni che vanno soddisfatte. A queste, il nuovo piano nazionale ne aggiungerebbe altre tre, prevedendo che ogni richiesta venga affrontata comunque come un caso speciale, e fissando un tetto preciso alle uccisioni, anche nel caso in cui tutte le condizioni di legge fossero risolte: ogni anno non potrebbero superare il 5% della stima più conservativa sulla popolazione attuale, e quindi mai più di 50/60 esemplari.

“Il piano contiene 56 pagine, e solo in due di queste si parla di deroghe. Nelle restanti vengono proposte 21 azioni per potenziare la conservazione del lupo, ridurre la mortalità, contrastare il bracconaggio e migliorare la coesistenza con le comunità umane. Si parla inoltre parla della necessità di espandere l’areale di questi animali nelle zone alpine, fino a riconnettersi con quello delle popolazioni di Slovenia e Slovacchia”, ha spiegato a Wired LuigiBoitani, professore di biologia della conservazione della Sapienzadi Roma che ha partecipato all’elaborazione del documento presentato dal Ministero dell’Ambiente. “A parer mio si tratta di un buon piano, molto più cautelativo di altri presenti in Europa, dove sono in molti a utilizzare le deroghe. Ovviamente è frutto di un tentativo di mediazione, che cerca di mettere d’accordo gli estremi opposti: chi vorrebbe arrivare all’eradicazione di questi animali dal nostro paese, e chi invece chiede che non siano toccati”.

Su molti punti in effetti, le proposte contenute nel nuovo piano non si discostano di molto da quelle del Wwf. In particolare, esperti e animalisti concordano sull’esigenza di contrastare il bracconaggio, un fenomeno che secondo le stime ufficiali uccide circa 300 lupi ogni anno (secondo il Wwf potrebbero essere molti di più) e contro cui è fondamentale aumentare gli sforzi, in termini di informazione, prevenzione, e inasprimento delle pene. A non andare giù al Wwf però è l’apertura, anche solo puramente formale, alla possibilità di abbattere i lupi, cioè la richiesta di accedere a quelle deroghe mai applicate nel nostro paese anche per via del complesso iter che richiederebbe a livello europeo, e che invece il ministero dell’Ambiente sembra ritenetere uno strumento utile, almeno in particolari situazioni, per pacificare il rapporto dei lupi con allevatori, pastori e comunità locali.

“L’abbattimento dei lupi non andrebbe mai contemplato, perché potrebbe creare un’escalation e provocare effetti difficili da prevedere. La verità è che conosciamo pochissimo sul reale status di conservazione di questi animali”, ha raccontato a Wired Isabella Pratesi, direttrice conservazione per il Wwf Italia. “Nei paesi in cui si è fatto inoltre, si è capito che abbattere i lupi non porta benefici. Disgregando i nuclei sociali infatti per loro diventa più difficile cacciare animali selvatici, e aumenta quindi la predazione di quelli domestici. Il risultato quindi è spesso un peggioramento della convivenza con gli esseri umani”.

A prescindere dalla questione degli abbattimenti, esperti e animalisti sono comunque d’accordo sulla necessità di un maggiore impegno di prevenzione da parte dello stato, con l’investimento di risorse e programmi di informazione che aiutino a garantire la convivenza pacifica tra questi animali e la nostra specie. Da un lato infatti, bisognerebbe aumentare e facilitare l’accesso ai rimborsi dei capi perduti da parte degli allevatori, per suddividere sulle spalle di tutti i costi (tra l’altro contenuti, visto che in una regione come il Piemonte il totale dei danni si aggira intorno ai 50-60mila euro l’anno) che ha mantenere la presenza dei grandi predatori sul nostro territorio. Dall’altro, la convivenza pacifica con il lupo è principalmente una questione culturale, che necessità quindi di una corretta comunicazione ed educazione delle comunità che vi si trovano ad interagire.

“Nelle zone appenniniche, dove il lupo non è mai scomparso ed è quindi rimasto parte della cultura locale, i pastori utilizzano da sempre recinti e cani da pastore, e i problemi sono molto minori”, sottolinea infatti Boitani. “Sul resto del territorio invece la situazione è disomogenea. Nella zona di Grosseto ad esempio ci sono state reazioni feroci agli attacchi di lupi al bestiame, ma d’altronde i pastori li sono quasi tutti sardi, e tradizionalmente non hanno mai avuto a che fare con i lupi. Sulle Alpi invece i lupi erano completamente scomparsi negli anni ’20 del secolo scorso, e si è quindi sviluppata una strategia di allevamento che ha dimenticato completamente come convivere con questi animali”.

Via: Wired.it

Credits immagine: NH53/Flickr CC

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