Aborto: tutti i dati sull’Italia

22 maggio 1978. Una data storica, quella in cui entra in vigore la legge 194, che regola le Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, e che per la prima volta in Italia depenalizza e disciplina le modalità di accesso all’aborto, considerato fino a quel momento un reato penale. Un argomento naturalmente molto controverso, che tira in ballo questioni etiche, religiose e, per l’appunto, legali. Con l’appropinquarsi del quarantesimo compleanno della legge, mettiamo per un attimo da parte le opinioni e lasciamo che a parlare siano i dati, per capire qual è e quale è stato l’impatto della depenalizzazione dell’aborto e come è cambiata la situazione dall’approvazione della legge a oggi. I numeri (e le considerazioni) che vi presentiamo di seguito sono estratti dalla Relazione del ministro della Salute sull’attuazione della Legge 194/78 per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza e sono stati ufficialmente trasmessi al parlamento il 29 dicembre 2017. Si tratta dei dati più recenti pubblicamente disponibili sul tema dell’interruzione volontaria di gravidanza (relativi all’anno 2016), raccolti dal Sistema di sorveglianza epidemiologica della Ivg coordinata dall’Istituto superiore di sanità, dal ministero della Salute, dall’Istat e da regioni e province autonome.

Le interruzioni volontarie di gravidanza sono in calo
La prima considerazione che balza agli occhi guardando i numeri è che gli aborti sono in calo. Un trend che va avanti inalterato, anche se con diverse entità, sin dal 1982. In particolare, nel 2016 le regioni hanno riferito un numero totale di 84.926 interruzioni di gravidanza, il 3,1% in meno rispetto all’anno precedente, quando si era registrato invece un calo più consistente (-9,3%). Complessivamente, considerando solo gli aborti effettuati da cittadine italiane, per la prima volta il numero è sceso al di sotto di 60mila, il che rappresenta una riduzione del 74,7% rispetto ai dati del 1982.

Il trend si conferma anche guardando indicatori che tengono conto del numero di donne in età fertile e del tasso di natalità, e che quindi danno un quadro più verosimile del fenomeno di quanto non facciano le cifre assolute. Questi indicatori, ossia il tasso di abortività (numero di interruzioni volontarie di gravidanza su 1000 donne tra 15 e 49 anni) e il rapporto di abortività (numero di interruzioni volontarie di gravidanza per 1000 nati vivi), sono in calo, con sporadiche eccezioni, dal 1982 a oggi: in particolare, il rapporto di abortività è passato da 380,2 su 1000 nati vivi a 182,4 su 1000 nati vivi.

Stesso discorso per quanto riguarda la distribuzione geografica delle interruzioni volontarie di gravidanza. La mobilità regionale è piuttosto bassa: il 91,4% degli aborti viene effettuato nella regione di residenza, e l’86,5% nella provincia di residenza. Il rapporto di abortività è inoltre leggermente maggiore al centro-nord che nel sud e nelle isole, considerazione che resta più o meno inalterata tra il 1982 e oggi.

Identikit
I dati ci aiutano, tra l’altro, a capire quali sono le caratteristiche delle donne che fanno ricorso all’interruzione volontarie di gravidanza. I tassi più elevati si registrano tra donne di età compresa tra 25 e 34 anni; per quanto riguarda le donne italiane, il 46% di quelle che hanno abortito nel 2016 era in possesso di licenza media superiore, il 47% risultava occupata, il 57,8% risultava nubile e il 44% non aveva figli. Il 46% delle donne straniere che hanno effettuato un aborto nel 2016, invece, era in possesso di licenza media inferiore e il 39,2% risultava occupata.

Quanto c’è da aspettare
Il ministero della Salute identifica nei tempi di attesa tra il rilascio della certificazione e dell’intervento un possibile indicatore di efficienza dei servizi. I numeri dicono che la situazione è in miglioramento: i tempi di attesa, infatti, sono in diminuzione in tutto il paese. In particolare, è aumentata la percentuale di interruzioni volontarie di gravidanza effettuate entro 14 giorni dal rilascio del documento, passando dal 59,6% del 2011 al 65,3% del 2015 e al 66,3% del 2016. Specularmente è diminuita la percentuale di aborti effettuati oltre le tre settimane di attesa, passando al 15,7% del 2011 al 13,2% del 2014 e 2015 e infine al 12,4% del 2016. Il grafico seguente mostra la percentuale di interventi con tempo di attesa superiore a tre settimane rispetto al totale degli interventi, su base regionale: la situazione è abbastanza omogenea in tutto il paese.

Come si abortisce
Per quanto riguarda le modalità di esecuzione dell’aborto nel nostro paese, la tecnica più utilizzata è la metodica Karman, basata sull’aspirazione del contenuto dell’utero (rappresenta il 52,5% degli interventi effettuati nel 2016). In aumento l’aborto farmacologico: nel 2016, infatti, il mifepristone abbinato a successiva somministrazione di prostaglandine è stato utilizzato nel 15,7% dei casi (nel 2014 la percentuale era del 12,9%), anche se il ricorso all’aborto farmacologico varia molto tra le regioni.

Obiettori, obiettori ovunque
Un altro dato interessante è quello relativo agli obiettori di coscienza, cioè i professionisti sanitari che non praticano l’interruzione volontaria di gravidanza. Mentre gli aborti sono in calo, la percentuale di obiettori è rimasta più o meno stabile nel tempo: nel 2016 in Italia il 70% dei ginecologi era obiettore, a fronte del 69,3% del 2010 e del 2011 e del 70% del 2013. La distribuzione regionale non è omogenea: al centro-sud gli obiettori sono di più e toccano addirittura quota 97% nel Molise e 88% in Basilicata.

via Wired.it

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