Categorie: Società

A caccia di bufale nella scienza

Qualcuno l’ha definita una “guerra che infuria al cuore della scienza”. Si tratta del proliferare di studi e ricerche falsificati che stanno apparendo da qualche anno sulle pubblicazioni scientifiche di mezzo mondo, mettendo a nudo rischi e limiti del sistema del peer review, uno dei pilastri centrali della scienza moderna. Un fenomeno dilagante, di cui la comunità scientifica ha iniziato ad accorgersi solo di recente, e al quale in molti oggi cercano di trovare soluzione. L’ultima iniziativa per contrastare la disseminazione di questa “cattiva scienza” arriva dall’Università di Stanford, che ha deciso di aprire il Meta-Research Innovation Center, un laboratorio dedicato specificamente a individuare e denunciare le ricerche falsificate che vengono pubblicate sulle riviste scientifiche.

Ma è così facile falsificare i risultati di uno studio scientifico? Per averne conferma basta guardare qualcuno dei casi più recenti. A gennaio, ad esempio, su Nature è stato pubblicato uno studio in cui veniva descritto un nuovo metodo per produrre cellule staminali pluripotenti a partire da cellule somatiche adulte. La tecnica, definita stimulus-triggered acquisition of pluripotency (Stap), è di una semplicità rivoluzionaria: basta sottoporre le cellule adulte ad alcuni tipi di stress, come l’esposizione ad un ambiente particolarmente acido, o addirittura una semplice stimolazione meccanica, per indurre la riprogrammazione in cellule staminali. Troppo bello per essere vero?

In effetti sono bastate alcune settimane perché i problemi venissero a galla. Alcune immagini usate nell’articolo sono finite sotto accusa per essere state modificate ad hoc in modo da confermare i risultati dello studio, e mentre Nature apriva un’indagine ufficiale per verificare l’affidabilità della ricerca, sono emersi ancora nuovi indizi: alcune foto di cellule embrionali presenti nello studio erano identiche a quelle utilizzate nella tesi di dottorato dell’autore. A questo punto, anche alcuni dei coautori della ricerca hanno fatto un passo indietro, chiedendo a gran voce che l’articolo fosse ritirato dalla rivista.

Come abbiamo detto, questo accadeva a gennaio. È bastato aspettare un mese, ed ecco arrivare un nuovo scandalo. Questa volta a finire nell’occhio del ciclone sono stati l’editore tedesco Spinger, e l’Institute of Electrical and Electronic Engineers (Ieee) di New York. La vicenda ha inizio nel 2005, quando un team di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology realizzò un programma chiamato SCIgen, capace di combinare stringhe di testo generate casualmente per generare articoli di informatica.

I ricercatori volevano dimostrare la facilità con cui si possono realizzare falsi studi scientifici, ma come ha scoperto il francese Cyril Labbé, dell’Università Joseph Fourier di Grenoble, SCIgen è stato utilizzato negli anni seguenti per realizzare autentiche frodi scientifiche. Labbé ha realizzato infatti un programma in grado di analizzare le pubblicazioni scientifiche e individuare gli articoli generati con SCIgen, scoprendone 16 nelle riviste pubblicate da Springer, e oltre 100 tra i lavori dello Ieee.

Per cercare di porre un freno al dilagare di questa “cattiva scienza”, l’Università di Stanford ha deciso di affidarsi John Ioannidis, uno dei primi a portare alla luce il fenomeno, in un articolo del 2005 intitolato “Why most published research findings are false”. Nel suo paper, Ioannidis prediceva che circa l’80% degli studi scientifici non randomizzati, e il 25% di quelli randomizzati che vengono pubblicati ogni anno si sarebbero dimostrati falsi. Ora avrà a disposizione di un team di ricercatori e un intero laboratorio per dimostrare che aveva ragione.

Credits immagine: sea turtle/Flickr

Simone Valesini

Giornalista scientifico a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. Laureato in Filosofia della Scienza, collabora con Wired, L'Espresso, Repubblica.it.

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