Abbassare il colesterolo per diminuire gli infarti

colesterolo
(Foto via Pixabay)

Si sa, il colesterolo alto è un fattore di rischio per infarto, ictus, e altri eventi cardiovascolari più o meno gravi. Ma abbassare i livelli di Hdl in maniera sostanziale può servire davvero a diminuire la percentuale di rischio di avere uno di questi eventi? Sì, rispondono gli sperimentatori dello studio Fourier presentato al meeting annuale dell’American Academy of Cardiology che si è svolto pochi giorni fa a Washington, e pubblicato contemporaneamente sul New England Journal of Medicine. Ed è la prima volta che l’azione di un inibitore di PCSK9, evolocumab, è valutata non solo sulla riduzione del colesterolo – cosa che questi farmaci riescono a fare più e meglio delle terapie standard, come le statine – ma direttamente sul rischio di eventi cardiovascolari maggiori, diminuito rispettivamente del 27%, del 21% e del 22% per infarto, ictus e rivascolarizzazione coronarica.

“Per la prima volta siamo riusciti a dimostrare, in uno studio dedicato agli outcome, che la riduzione del colesterolo LDL attraverso l’inibizione del PCSK9 risulta in un beneficio cardiovascolare clinicamente significativo”, afferma Marc S. Sabatine, M.D., M.P.H., chairman del TIMI Study Group, the Lewis Dexter, MD, Distinguished Chair in Cardiovascular Medicine at Brigham e Women’s Hospital, and Professor of Medicine, Harvard Medical School, Boston. “Questi benefici sono stati possibili portando il colesterolo LDL fino a una mediana di 30 mg/dL, molto al di sotto degli attuali target, e più i pazienti rimanevano in trattamento e maggiore era la riduzione del rischio. Tali risultati supportano la necessità di una riduzione del colesterolo LDL molto consistente e a lungo termine in pazienti con malattia cardiovascolare”.

I pazienti arruolati nello studio, già in trattamento con terapia statinica ottimizzata, avevano avuto un pregresso infarto, ictus o arteropatia periferica sintomatica. Persone che, nonostante la loro storia, non riescono a tenere i livelli di colesterolo LDL sotto controllo. Una condizione che in Europa interessa oltre il 60% dei pazienti ad alto rischio cardiovascolare e l’80% di quelli a rischio molto alto. L’allarme colesterolo, peraltro, è abbastanza generalizzato anche in Italia, come dimostra il fatto che la prevalenza dell’ipercolesterolemia è aumentata negli ultimi anni: secondo i dati dell’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare ANMCO – Istituto Superiore Sanità (ISS), negli uomini siamo passati dal 20,8% nel periodo 1998-2002 al 34,3% nel quadriennio 2008-2012, nelle donne del 24,6% al 36,6%.

“Evolocumab ha dimostrato di essere una soluzione per i cosiddetti pazienti difficili da trattare, per i quali i medici fanno fatica a trovare delle soluzioni terapeutiche efficaci: persone che hanno già subito un infarto, che soffrono di diabete, che non rispondono alle statine o che sono intolleranti. Pazienti ad alto rischio di andare incontro a un evento cardiovascolare, anche mortale”, ha spiegato Enzo Manzato, Professore Ordinario in Medicina Interna, Università di Padova, Presidente SISA, Società Italiana per lo Studio dell’Aterosclerosi. Evolocumab è un anticorpo monoclonale umano che contrasta l’attività della proteina PCSK9, sostanza che nell’organismo degrada i recettori LDL che si trovano sulla superficie delle cellule epatiche. L’azione di evolocumab, quindi, di fatto aumenta la capacità del fegato di eliminare il colesterolo LDL dal sangue, diminuendone così i livelli.

“Quello dello studio Fourier è un annuncio molto importante perché è evidente che la riduzione del colesterolo è auspicabile proprio perché porta alla diminuzione del rischio di morte”, ha sottolineato Manzato. “L’annuncio del raggiungimento degli endpoint ci fa capire che siamo di fronte a una svolta epocale nella prevenzione secondaria di pazienti con pregressi eventi cardio e cerebrovascolari”, ha ribadito Michele Massimo Gulizia, Direttore Unità Complessa di Cardiologia Ospedale Garibaldi-Nesima Catania, Past President nazionale ANMCO.

 

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