Categorie: Fisica e Matematica

Al via Cuore, l’esperimento Infn per “scovare” il neutrino di Majorana

(Credits: Infn)

Si è appena acceso, sotto 1400 metri di roccia, nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, uno dei frigoriferi più potenti mai concepiti e sviluppati dall’essere umano. È in grado di raggiungere temperature molto vicine allo zero assoluto (-273 °C) e fa parte dell’esperimento Cuore, acronimo di Cryogenic Underground Observatory for Rare Events): una collaborazione scientifica internazionale cui partecipano oltre 150 ricercatori provenienti da Italia, Cina, Francia, Spagna e Stati Uniti che ha come obiettivo primario quello di individuare sperimentalmente (sempre che esista) il cosiddetto neutrino di Majorana, una particella teorizzata, ça va sans dire, da Ettore Majorana negli anni ’30 e che finora è sfuggita a tutti i tentativi di osservazione.

Cos’è il neutrino di Majorana. Cominciamo dall’identikit del ricercato speciale, il neutrino di Majorana. Al momento, il comportamento di tutte le particelle elementari note è descritto dal cosiddetto Modello Standard, una teoria formulata oltre quarant’anni fa e sottoposta, con successo, a innumerevoli verifiche sperimentali. La teoria, però, ha un limite: il modello è infatti ancora incompleto, per una serie di ragioni: anzitutto non tiene in considerazione l’esistenza della materia oscura, che invece sappiamo con certezza permeare il nostro Universo; inoltre, fallisce nella descrizione dell’asimmetria tra materia e antimateria, ovvero il fatto che nel cosmo si osserva uno sbilanciamento tra le due entità. Che invece, secondo il Modello Standard, dovrebbero essere osservate in quantità uguali. È proprio qui che entra in gioco la particella predetta da Majorna: trattasi di un neutrino (particella subatomica di massa piccola e carica nulla) che dovrebbe coincidere con la propria antiparticella. In altre parole, la teoria di Majorana prevede che neutrino e antineutrino siano esattamente uguali. Il che – senza scendere in ulteriori dettagli tecnici – giustificherebbe, a cascata, l’abbondanza di materia rispetto all’antimateria.

Per (cercare di) osservare sperimentalmente il neutrino di Majorana, i fisici sono a caccia di un particolare tipo di decadimento radioattivo, il cosiddetto decadimento β doppio senza neutrini (neutrinoless double-β decay, o 0νββ), una reazione in cui un nucleo atomico decade emettendo due neutroni e, per l’appunto, nessun neutrino.

Come funziona l’esperimento. Arriviamo così a Cuore. Un esperimento progettato ad hoc per osservare il decadimento doppio senza neutrini. Si tratta, in particolare, del rivelatore bolometrico (ossia che opera a temperature criogeniche) più grande mai costruito: 19 torri composte ciascuna di 52 cristalli di ossido di tellurio e sospese all’interno di una struttura di oltre sette quintali. Il tellurio, nel suo isotopo 130, dovrebbe per l’appunto mostrare traccia del decadimento β doppio senza neutrini: i cristalli, dunque, fungono sia da sorgente che da rivelatore del segnale. La posizione del laboratorio, schermato dalla roccia del Gran Sasso e da un’ulteriore protezione in piombo, minimizza il possibile rumore di fonro dovuto, per esempio, all’arrivo di raggi cosmici dallo Spazio. Un accorgimento assolutamente necessario: un’interazione o un decadimento all’interno dei cristalli, infatti, comportano un rilascio di energia che si traduce in un aumento minimo della temperatura del cristallo stesso. Misurare con precisione tale aumento, ed essere certi che sia dovuto a decadimenti propri del cristallo e non dovuti a fattori esterni, è cruciale per osservare il decadimento.

La curiosità. La parte più interna di Cuore, il criostato, contiene, come già accennato, una schermatura in piombo: tale materiale proviene da un relitto romano affondato da un relitto affondato nel primo secolo a.C. dalle parti di Oristano, in Sardegna. Il piombo è stato recuperato all’inizio degli anni novanta, nel corso di una grande spedizione condotta da fisici e archeologi, sotto forma di un migliaio di lingotti dal peso di circa 30 chili l’uno.

Via: Wired.it

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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