Ambiente

Alpi sempre più verdi: il cambiamento climatico ridisegna l’ecosistema montano

Nelle montagne delle Alpi diminuisce la copertura nevosa e aumenta la nascita di nuova vegetazione. È una delle conseguenze del riscaldamento globale e – per quanto vi siano numerose campagne che promuovono l’aumento delle aree verdi e la piantumazione in diverse zone del pianeta – non è una notizia positiva. Questo quadro emerge dall’analisi dei dati raccolti dai satelliti della costellazione Landsat in più di vent’anni, e potrebbe avere delle conseguenze irreparabili sugli ecosistemi montani. Lo studio è stato pubblicato su Science.

L’ambiente montano è fra i più sensibili al cambiamento climatico: qui, infatti, il riscaldamento globale procede circa due volte più rapidamente della media globale. Lo raccontano in maniera lampante i ghiacciai: nel giro di mezzo secolo, infatti, i ghiacciai di tutto il mondo hanno perso più di nove trilioni di tonnellate di ghiaccio e il processo continua ad accelerare. Oltretutto, l’acqua di fusione dei ghiacciai e delle nevi alpine fornisce quasi la metà delle risorse di acqua dolce del mondo. Il processo di “inverdimento” delle montagne – cioè lo scioglimento della neve in montagna e il conseguente aumento della vegetazione – viene monitorano da diversi anni nelle zone artiche. Nell’arco alpino europeo, invece, nonostante il fenomeno abbia preso certamente piede, non era mai stato quantificato. Per farlo, gli scienziati hanno considerato i dati raccolti dai satelliti Landsat fra il 1984 e il 2021.

“Per ogni punto di misurazione, che ha una risoluzione di 30×30 m, abbiamo utilizzato tutti i dati disponibili per calcolare una tendenza temporale su tutti i 38 anni”, spiega a Galileo Sabine Rumpf, ricercatrice del dipartimento di ecologia ed evoluzione dell’università di Losanna, in Svizzera, e prima autrice dello studio. “Il motivo per cui abbiamo considerato l’arco temporale nel suo insieme è che in tutti i sistemi naturali esistono fluttuazioni naturali. Ad esempio, se c’è un anno più freddo, non significa che il clima si stia raffreddando. Allo stesso tempo, in alcune aree potrebbe esserci una maggiore copertura nuvolosa in un anno rispetto a un altro e per quell’anno non possiamo misurare nulla. Per questi motivi, abbiamo utilizzato l’intera serie temporale per analizzare tendenze robuste e a lungo termine e non ci siamo concentrati sui cambiamenti a breve termine”.

E la tendenza che è emersa è poco incoraggiante: secondo i risultati, la copertura nevosa in tutta la regione è diminuita in modo significativo, anche se in meno del 10% dell’area studiata. D’altra parte, la produttività della vegetazione è aumentata nel 77% dell’area al di sopra del limite degli alberi nella regione studiata. Significa che in alcune regioni a una perdita di copertura nevosa corrispondeva un significativo aumento della produttività della vegetazione, ma non sempre.

Ascolta “Episodio 2. Come neve al sole. Testimonianze dai ghiacciai con Luca Parmitano e Mario Vielmo” su Spreaker.

“Può accadere, ad esempio, che alcune aree rimangano più a lungo prive di neve durante la stagione di crescita e che le piante abbiano quindi più tempo per crescere”, continua Rumpf. “Inoltre, aree che prima erano coperte dalla neve possono ora essere libere dalla neve e aprire nuovi habitat per la vegetazione. D’altro canto, le aree in cui c’è ancora una copertura nevosa permanente per tutto l’anno non possono ospitare alcuna vegetazione”.

Il problema dell’aumento della vegetazione in relazione allo scioglimento delle nevi è che instaura un feedback positivo che accelera ulteriormente lo scioglimento della neve, alterando l’albedo del suolo (la capacità di riflettere l’energia solare), rilasciando gas serra attraverso lo scioglimento del permafrost e sconvolgendo le strutture ecologiche alpine vegetali e animali. In una certa misura, comunque, l’aumento della vegetazione può temporaneamente mitigare questi processi, sequestrando un po’ di CO2 dall’atmosfera.

“Le piante assorbono la CO2 dall’atmosfera e possono quindi, in una certa misura, diminuirne la concentrazione. Tuttavia, questa CO2 non viene immagazzinata per l’eternità, ma viene rilasciata nuovamente, ad esempio attraverso l’attività microbica del suolo. Inoltre, la biomassa vegetale negli ambienti montani è molto ridotta rispetto ad altre aree del pianeta”, conclude la scienziata. “È quindi altamente improbabile che l’inverdimento osservato nelle Alpi europee possa mitigare sensibilmente le emissioni globali di CO2 o pareggiare i conti con gli altri processi.”

Riferimenti: Science
Credits immagine: Sabine Rumpf

Valentina Guglielmo

Articoli recenti

Una modifica al paradosso di Schrödinger per conciliare quantistica e relatività

Un gruppo di fisici dell’Università di Trieste (e di altri istituti) ha proposto una sorta…

7 ore fa

Il talco può aumentare il rischio di tumore?

Il colosso farmaceutico Johnson & Johnson pagherà 6,5 miliardi di dollari per chiudere le cause…

4 giorni fa

Mesotelioma, 9 casi su 10 sono dovuti all’amianto

Si tratta di una patologia rara e difficile da trattare. Colpisce prevalentemente gli uomini e…

1 settimana fa

Uno dei più misteriosi manoscritti medioevali potrebbe essere stato finalmente decifrato

Secondo gli autori di un recente studio potrebbe contenere informazioni sul sesso e sul concepimento,…

1 settimana fa

Ripresa la comunicazione con la sonda Voyager 1

Dopo il segnale incomprensibile, gli scienziati hanno riparato il danno a uno dei computer di…

2 settimane fa

Atrofia muscolare spinale, ampliati i criteri di rimborsabilità della terapia genica

L’Aifa ha approvato l’estensione della rimborsabilità del trattamento, che era già stato approvato per l'atrofia…

2 settimane fa

Questo sito o gli strumenti di terze parti in esso integrati trattano dati personali (es. dati di navigazione o indirizzi IP) e fanno uso di cookie o altri identificatori necessari per il funzionamento e per il raggiungimento delle finalità descritte nella cookie policy.

Leggi di più