Categorie: Ambiente

Tensioni ad alta velocità in Val di Susa

“Una cerniera che colleghi il Nord e il Sud dell’Europa. Utile per trasportare merci e persone in tempi record, per lo sviluppo economico e allontanare l’incubo dell’inquinamento. Tutto questo ha un nome. E’ la Tav, linea ad alta velocità ferroviaria Torino-Lione, un’opera da circa 20 miliardi di euro che collegherà la Francia all’Italia, passando per la Val di Susa. Ma i cittadini non ci stanno. Non vogliono un cantiere a cielo aperto sul loro territorio né i treni che passano continuamente sotto casa. Ma soprattutto si oppongono perché dove avranno luogo gli scavi c’è l’amianto.

Un progetto strategico

Il braccio di ferro sulla questione Tav dura da 15 anni. Ancora una volta, lo scorso 31 ottobre, c’è stata una mobilitazione di cittadini che si sono dati appuntamento ai piedi del Monte Rocciamelone per impedire l’inizio dei sondaggi preliminari sui terreni di Mompantero, che anticipano i lavori della galleria di Venaus. Dopo i tafferugli e il blocco di alcune line ferroviarie, la mobilitazione si è conclusa con il successo dei contestatori. I carotaggi sono per ora sospesi e i sindacati di base hanno già indetto per il 16 novembre una nuova mobilitazione in tutta la Val di Susa. Ma la questione non è semplice. La Torino Lione, infatti, è uno dei sei progetti strategici previsti dall’Unione Europea ed è considerata decisiva per favorire il passaggio attraverso la Pianura Padana del cosiddetto “corridoio 5” Lisbona-Kiev, che con i suoi traffici costituisce il 40 per cento del Pil europeo. Una grossa opportunità per l’Italia, insomma, che non si può più rinviare. Non solo perché, secondo gli esperti, rivoluzionerà il trasporto delle merci, ma anche perché i francesi hanno già iniziato a lavorare. E soprattutto perché i finanziamenti europei rischiano di prendere il largo. Se la galleria di Venaus non sarà avviata entro la fine di quest’anno, infatti, l’Unione ritirerà gli oltre 40 milioni di euro messi a disposizione.

Serve davvero?

“Lo sviluppo dell’alta velocità è un fatto positivo”, spiega Mario Signorino, ambientalista e primo presidente dell’Anpa, “E’ un mezzo di rilancio delle rotaie contro la prevalenza del trasporto su strada, che danneggia l’ambiente. A patto che si realizzi con il minimo impatto e pensando a problemi come lo smaltimento della terra degli scavi”. E così arriviamo alle ragioni contro la Tav. Per la valle già passano l’autostrada, il traforo del Frejus, due strade statali e una linea ferroviaria che collegano Italia e Francia. La Torino-Lione quindi non serve, dicono i comitati No Tav. E lo confermano alcuni dati. Secondo uno studio della francese Setec Economie per Alpetunnel, il trasferimento del traffico merci dalla strada alle rotaie sarebbe solo dell’1 per cento. I dati AlpiInfo forniti da Legambiente Val di Susa dicono che oggi sulla tratta internazionale da Torino alla Francia viaggiano solo tre coppie di treni passeggeri e anche il transito merci attraverso le Alpi italo francesi è in calo da oltre dieci anni. Per questo, sarebbe meglio convogliare sulle infrastrutture esistenti i soldi previsti per l’opera.

Il rischio amianto in Val di Susa

E pensare ad altri metodi a vantaggio della mobilità: suddividere i flussi di traffico tra la linea attuale, che va ristrutturata, e le altre linee ferroviarie e valichi stradali; razionalizzarli evitando trasporti inutili e convogli semi-vuoti, ora molto numerosi, e infine far viaggiare sul treno solo i container merci e non i tir interi, come invece farebbe la Tav. Tutti interventi che eviterebbe di toccare la montagna che contiene amianto. “L’esistenza di amianto riguarda solo il tracciato nazionale che passa sotto Monte Musine con una galleria di 23 chilometri”, spiega Edoardo Gays, oncologo dell’azienda ospedaliera san Luigi di Orbassano che ha valutato i rischi per la salute dell’opera. “Le autorità si ostinano a cercare tracce di amianto sulla tratta internazionale, laddove non c’è, per eliminare le resistenze all’inizio dei lavori. Il problema invece è limitato da Grange di Brione a Burzolo”. Proprio qui, infatti, a 15 km di distanza dal tracciato dove sorgerà la galleria, si trova Balangero, la cava di amianto bianco più grande d’Europa, chiusa nel 1826 ma ancora non bonificata.

“Da uno studio che gli stessi costruttori di Rete ferroviaria Italiana hanno commissionato nel 2003 ai geologi dell’Università di Siena è emersa la presenza di amianto sotto forme diverse in metà dei 39 campioni di rocce prelevate in 29 punti su questo territorio”, continua Gays. Il materiale da scavare, movimentare e poi stoccare è stato stimato in oltre un milione di metri cubi. Le fibre di amianto si disperderebbero così nel terreno, nelle acque e nell’aria, agevolate dai forti venti della zona. “L’amianto è un killer invisibile, in Val di Susa il 29,1 per cento della popolazione è già affetta dal mesotelioma. Una donna su tre nella provincia torinese muore di cancro. Pur usando tutte le misure di sicurezza esistenti, che prevedono peraltro costi onerosi, i rischi connessi all’amianto non si abbatterebbero”.

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Roberta Pizzolante

Giornalista pubblicista dal 2005, è laureata in Sociologia e ha un master in "Le scienze della vita nel giornalismo e nei rapporti politico-istituzionali" conseguito alla Sapienza. Fa parte della redazione di Galileo dal 2001, dove si occupa di ambiente, energia, diritti umani e questioni di rilevanza etica e sociale. Per Sapere, bimestrale di scienza, si occupa dell'editing e della ricerca iconografica. Nel corso negli anni ha svolto vari corsi di formazione e stage nell'ambito della comunicazione (Internazionale, Associated Press, ufficio stampa della Sapienza di Roma, Wwf Italia). Ha scritto per diverse testate tra cui L'espresso, Le Scienze, Mente&Cervello, Repubblica.it, La Macchina del Tempo, Ricerca e Futuro (Cnr), Campus Web, Liberazione, Il Mattino di Padova. Dal 2007 al 2009 ha curato l'agenda degli appuntamenti per il settimanale Vita non Profit.

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