Noam Chomsky
Egemonia americana e “stati fuorilegge”
Dedalo, 2001
pp.200, £30.000
Noam Chomsky analizza i documenti del Pentagono e del National Security Agency (NSA) con lo stesso rigore con cui tratta gli assiomi della sua linguistica generativa. E’ un procedimento del tutto insolito nei testi di politica internazionale e nella letteratura geopolitica che affrontino i nodi dell’ordine mondiale e della dinamica dei nuovi conflitti sorti dopo la caduta del Muro di Berlino. Il volume non indulge nell’interpretazione concettuale, oppure nella ricerca delle “tendenze” del futuro del mondo, ma preferisce organizzare i fatti, le testimonianze e le dichiarazioni di uomini di potere da un lato, e gli eventi delle guerre e i colpi di stato dall’altro, in un discorso compiuto. Ne esce uno studio documentario, che fa parlare le fonti delle strategie di politica estera americana, prodotte dalle diverse sedi, nazionali e internazionali, dell’egemonia statunitense: le tribune aperte all’esterno, come il Consiglio di sicurezza dell’Onu, e le sedi riservate, come l’Nsa, o il Comando strategico statunitense. Ne emerge un ritratto impressionante dello “stato di sicurezza nazionale”, costruito mattone per mattone già nel corso della II guerra mondiale, e pienamente dispiegatosi nei decenni della guerra fredda e dell’equilibrio del terrore, sino alla guerra del Kossovo: il sistema politico-militare che ha come obiettivo di promuovere e difendere l’interesse americano nel mondo.
Chomsky non si sofferma sulle concatenazioni interne tra i diversi segmenti delle reti di potere, sui nessi interni ed esterni che hanno dato vita a un apparato statale e a una modalità di esercizio del potere senza precedenti nella storia mondiale: un sistema di governo a scatole cinesi del tutto sconosciuto alla tradizione burocratico-militare degli stati europei, e che garantisce l’operatività di un sistema di interessi strategici globali, non coincidente con il territorio nazionale, e nello stesso tempo capace di rideterminare di continuo l’assetto e la gerarchia dei territori da includere nell’”interesse nazionale” degli Stati Uniti d’America. L’assenza dell’analisi “strutturale” (e anche delle sue componenti economico-finanziarie, il colossale apparato militare-industriale mantenuto dalle strategie di difesa Usa) potrebbe essere considerato un limite del libro, ma a Chomsky interessa mettere a fuoco l’asse programmatico fondamentale che dirige l’azione del tutto: l’assoluto disprezzo degli Stati Uniti d’America nei confronti del diritto internazionale.
Gli Usa sono il sovrano “legibus solutus” del Leviatano di Hobbes, non sottoposti alle leggi che impongono, con la forza delle armi, al resto del mondo. Il punto – e qui sta l’aspetto di maggior forza del libro – è che non si tratta di una tesi dei radical americani, e neppure di una riflessione personale di Noam Chomsky: è un indirizzo che emerge con impressionante continuità dai documenti prodotti dal personale politico del governo Usa nell’arco del cinquantennio del secondo dopoguerra. La forza di Chomsky non è nel disegnare la novità dei conflitti del mondo post-guerra fredda, bensì nella capacità di dimostrare la continuità di una politica, in un arco che dal ‘45 giunge sino ad oggi: gli Usa rivendicano la facoltà di indicare quali sono gli stati “fuorilegge” a partire da una posizione che, dichiaratamente e consapevolmente, si chiama essa stessa al di fuori e al di sopra della legge e del diritto internazionale.