Anche questo terremoto (come gli altri) non si poteva prevedere

Terremoto

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Sono passate poche ore dal tremendo terremoto che ha scosso l’Italia centrale, devastando le cittadine di Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto e Pescara del Tronto e il cui tragico bilancio, per ora, si attesta su 247 morti, 264 feriti e circa 2500 sfollati. Il terremoto è avvenuto in una regione già nota per il suo altissimo rischio sismico, geologicamente molto attiva e densa di faglie e strutture sismogenetiche attive. Eppure, nonostante ciò, è bene ribadire ancora una volta che i terremoti non si possono prevedere: la scienza può, al massimo, elaborare mappe di rischio e studiare le serie storiche del passato per determinare quali sono le regioni che corrono più rischi. Non è invece possibile – al di là di quello che dicono persone come Giampaolo Giuliani, che avrebbe previsto i terremoti de L’Aquila, dell’Emilia Romagna e anche quest’ultimo – costruire un modello attendibile in grado di stabilire con precisione dove e quando la terra deciderà di svegliarsi.

La comunità scientifica si è espressa più volte in merito. Due anni fa, tanto per fare un esempio, Michael Floyd, ricercatore al Massachussets Institute of Technology (Mit) di Boston e autore di un articolo scientifico in cui si individuava una zona ad altissimo rischio sismico nei dintorni di Istanbul, spiegava chiaramente che “i terremoti non sono regolari prevedibili. Si può trascorrere un’intera esistenza senza mai viverne uno. Il messaggio che possiamo dare è uno solo: siate preparati”. All’indomani del sisma in Italia centrale, il messaggio degli scienziati è rimasto pressoché invariato, come ha spiegato chiaramente Alessandro Amato, ricercatore del Centro Nazionale Terremoti all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), sulla propria pagina Facebook: “Il terremoto di magnitudo 6 di questa notte nel reatino non è stato preceduto da nessun ‘foreshock’, né sciami né isolati. Questa è la registrazione in uno dei sismometri della Rete Sismica Nazionale (Aqu). Si vede che prima dell’evento principale delle 3:36 (linee rosse più in alto), la linea è completamente piatta. Ennesima dimostrazione dell’estrema variabilità e imprevedibilità dei terremoti. Unica difesa (per ora) le costruzioni sicure. Punto”.

Grafico terremoto
(Immagine: Rete Sismica Nazionale – AQU)

A cosa si riferisce Amato quando parla di foreshock? Il Caltech li definisce come “terremoti che avvengono immediatamente prima di una scossa principale, esattamente nella stessa zona in cui avviene la stessa scossa principale. Possono verificarsi in gruppo o essere eventi singoli. Il tempo tra l’ultimo foreshock e la scossa principale può variare, ma è tipicamente meno di un giorno”. Avvertire un foreshock può servire allora a prevedere un terremoto? Non proprio. Perché, guardando alle serie storiche, “non ci sono caratteristiche intrinseche dei foreshock, delle scosse principale e di quelle successive [i cosiddetti aftershock, nda]: in altre parole, se si guardano i sismogrammi estrapolando tali scosse dal contesto e senza sapere se hanno seguito o preceduto altri eventi, non c’è modo di identificarli correttamente. Si presentano esattamente allo stesso modo: nessuno di essi ha caratteristiche peculiari che permette di metterli in relazione con altri eventi. Neanche la magnitudo li rende riconoscibili con certezza. Sia i foreshock che gli aftershock di scosse molto importanti possono essere più forti di scosse principali moderate”. C’è poco da fare in termini di previsione, dunque: i foreshock possono essere identificati solo (e non sempre) a posteriori. “I foreshock non possono essere identificati come tali finché non è avvenuta la scossa principale”.

Altri presunti precursori sismici non hanno trovato alcun riscontro nella comunità scientifica. È il caso, per tornare a Giuliani, delle emissioni di radon dal sottosuolo: secondo l’ex tecnico dei Laboratori nazionali del Gran Sasso, sarebbe possibile prevedere i terremoti con 6-24 ore di anticipo nel raggio di 120 chilometri dalla centralina con cui si misura la quantità del gas che fuoriesce dalle rocce. Le sue ricerche e le sue previsioni, però, non hanno dato alcun risultato incontrovertibile, né sono mai state sottoposte a processo di peer review su riviste scientifiche. Quello che si sa per certo (qui lo studio dell’Ingv), al contrario, è che c’è un’estrema variabilità nelle emissioni di radon, non solo in positivo, ma anche in negativo, e pertanto il fenomeno non può in alcun modo considerarsi un precursore sismico. Lo stesso vale, al momento, per eventi come variazioni del campo elettromagnetico, emissioni di protoni d’idrogeno e variazioni termiche della ionosfera. E purtroppo neanche lo studio dell’accoppiamento dei rospi sembra funzionare.

Via: Wired.it

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