Categorie: Società

Antica Grecia, reparto hi-tech

Più lo studiano, più sorprende. Il protagonista del numero di questa settimana di Nature è uno dei più famosi e studiati reperti archeologici, che rappresenta da anni un vero e proprio rompicapo per la storia della scienza e dela tecnologia. Si tratta del meccanismo di Anticitera, una raccolta di frammenti di bronzo ripescati nel 1900 da un gruppo di pescatori di spugne in un relitto (datato attorno al 65 a.C.) vicino all’omonima isoletta greca. Le poche iscrizioni leggibili, con nomi di costellazioni, del Sole e della Luna, fecero capire da subito che i frammenti erano quanto restava di una sorta di calendario astronomico. Nel corso degli anni, le analisi condotte da diversi studiosi portarono a pensare che si trattasse del primo meccanismo conosciuto basato su un sistema di ingranaggi. Ora, la ricerca pubblicata su Nature descrive un meccanismo ancora più complesso e avanti sui tempi di quanto si credesse: un vero e proprio computer ante litteram, in grado di calcolare, rappresentando rapporti matematici di grande complessità attraverso i rapporti tra il numero di denti dei diversi ingranaggi, le principali variabili astronomiche per qualunque data.

Andiamo con ordine. Il primo studioso a tentare di ricostruire, a partire dai frammenti ripescati, la struttura originale del meccanismo fu, negli anni Cinquanta e Sessanta, lo statunitense Derek de Solla Price. Aiutandosi con radiografie, sia per distinguere la dentellatura degli ingranaggi che per decifrare le iscrizioni, Price concluse che si trattasse di un calendario astronomico con due quadranti, uno sul frontale e uno sul retro, dedicati ai movimenti del Sole e della Luna. Per mezzo di un sistema di 29 ingranaggi, secondo Price, il meccanismo permetteva di calcolare e rappresentare sui quadranti la posizione del Sole e della Luna in un qualunque momento di qualunque anno: gli ingranaggi riuscivano infatti a riprodurre, con un complicato sistema di rapporti e riduzioni, la relazione che lega il ciclo solare a quello lunare, per cui in 19 anni solari vi sono 235 lunazioni (il ciclo tra due noviluni) e 254 mesi siderali (il tempo che impiega la Luna a tornare nella stessa posizione rispetto alla volta stellare).

Era già una conclusione notevole, visto che un uso così raffinato degli ingranaggi per rappresentare rapporti matematici non compare, nella tecnologia occidentale, prima degli orologi del tredicesimo secolo. Tanto è vero che le tesi di Price incontrarono un diffuso scetticismo, e in molti proposero spiegazioni alternative e più semplici del funzionamento del meccanismo.

Ora, un gruppo multidisciplinare di ricercatori britannici, greci e statunitensi guidati da Tony Freeth dell’Università di Cardiff ha rimesso sotto la lente i frammenti, usando tecnologie molto più moderne di quelle su cui poteva contare Price: tomografia computerizzata e rielaborazioni digitali ad alta risoluzione della superficie. Il risultato è stato di decifrare il doppio delle iscrizioni presenti sui quadranti. Portando, per cominciare, a spostare ulteriormente indietro nel tempo la data di costruzione, che dovrebbe essere tra il 150 e il 100 a.C. Più chiare anche le funzioni dei due quadranti: quello anteriore riportava lo zodiaco e le posizioni del Sole e della Luna rispetto ad esso. I quadranti posteriori servivano a prevedere le eclissi di Sole e di Luna. Secondo Freeth e colleghi, il meccanismo usava ben 37 ingranaggi (8 più di quelli proposti da Price). E la caratteristica più sorprendente rivelata dal nuovo studio è un sistema di due ingranaggi sovrapposti, leggermente sfasati, che servivano a riprodurre il movimento quasi sinusoidale del moto della Luna. Una realizzazione meccanica del modello matematico dell’orbita della Luna sviluppato da Ipparco di Rodi nel secondo secolo a.C., che porta gli autori addirittura a ipotizzare un coinvolgimento dello stesso Ipparco nel design dell’ingegnoso meccanismo. Altre iscrizioni, in precedenza mai rilevate, che fanno riferimento ai pianeti fanno supporre che il meccanismo fosse in grado anche di predire i movimenti di questi ultimi.

Al di là dell’ingranaggio in più o in meno, rimane l’importanza di questo straordinario reperto: che costringe a rivedere al rialzo le più comuni nozioni sulle conoscenze scientifiche e tecnologiche dell’antica Grecia, e mostra come la storia del sapere non proceda sempre in linea retta. Serviranno infatti secoli prima che meccanismi di questa complessità ricompaiano nella storia occidentale. La competenza tecnica che permise di realizzare il meccanismo di Anticitera si perse dopo l’epoca ellenistica, e dovette essere riscoperta quasi da zero dopo il Medioevo.

Nicola Nosengo

Scrittore e giornalista. Dopo essersi laureato in Scienze della Comunicazione all'Università di Siena ed aver frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, si dedica al giornalismo scientifico, scrivendo articoli sulla tecnologia, sulle neuroscienze e sulla medicina. Pubblica nel 2003 il suo primo lavoro L'estinzione dei tecnosauri, in cui parla di tutte le tecnologie che non sono sopravvissute allo scorrere del tempo. Attualmente tiene una rubrica mensile sulla rivista Wired dedicata allo stesso tema.Tra il 2003 e il 2007 collabora con diverse redazioni come L'espresso, La Stampa, Le Scienze, oltre che aver partecipato alla realizzazione dell'Enciclopedia Treccani dei Ragazzi.Nel 2009 ha pubblicato, con Daniela Cipolloni, il suo secondo libro, Compagno Darwin, sulle interpretazioni politiche della teoria dell'evoluzione.

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