Anvur 2013: pochi laureati, pochi ricercatori (ma buoni)

L’istantanea di università e ricerca italiane è tutta qui. In un librone di quasi cinquecento pagine che fotografa impietoso lacune, patologie, problematiche (e, fortunatamente, anche qualche virtù) relative al livello dell’istruzione superiore nel nostro paese. Si chiama Rapporto biennale sullo stato del sistema dell’Università e della Ricerca ed è stato prodotto dagli esperti dell’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca). Il lavoro, presentato oggi dal presidente dell’Anvur Stefano Fantoni e dal direttore Stefano Torrini, è articolato in due sezioni, rispettivamente relative a università e ricerca. Ecco cosa è emerso dai dati.

Il sistema universitario. L’Italia può contare su un totale di 92 atenei, di cui 67 pubblici (che accolgono la maggior parte degli iscritti, 1,75 milioni di studenti) e 29 privati. “Il dato più importante”, ricorda Torrini, “riguarda il numero di laureati”. È ora di sfatare un luogo comune: non è assolutamente vero che in Italia ci siano troppi laureati. Nonostante tra il 1993 e il 2012 la quota dei laureati sulla popolazione in età da lavoro sia salita dal 5,5% al 12,7% e tra i giovani tra 25 e 34 anni dal 7,1% al 22,3%, il che dimostra una transizione da università elitaria a università di massa, l’Italia è comunque uno dei paesi con la più bassa quota di laureati. Meno di Germania (29%), Francia (42,9%) e Regno Unito (dove addirittura il 45% dei giovani è laureato).

Quali sono le cause? Secondo l’Anvur, uno dei problemi principali è che in Italia, a differenza di altri paesi, non ci sono corsi di laurea professionalizzanti, il che – unito alla disoccupazione e alla crisi – scoraggia i giovani dall’immatricolarsi negli atenei. E, tra l’altro, neanche chi si iscrive riesce così tanto bene: il 40% degli studenti non si laurea e, per i restanti, la durata media del corso di studi (nominalmente triennale) si attesta a 5,1 anni.Una “sacca patologica” che bisogna “curare al più presto per tornare alla normalità”, spiega Stefania Giannini, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, “intervenendo sull’orientamento pre-laurea, sulla formazione durante i corsi e sulla qualità della docenza. Il tempo è una variabile fondamentale dell’apprendimento”. I dati, tra l’altro, ricordano che il titolo di studio conviene oggi più che mai: “I laureati”, continua Torrini, “hanno un tasso di disoccupazione più basso e salari più alti dei non laureati”.Un’altra questione importante riguarda il diritto allo studio. I numeri sono impietosi: le risorse a disposizione non consentono di garantire a tutti gli aventi diritto l’accesso alle borse di studio, e la copertura è passata dall’86% al 69%. “Una situazione paradossale”, commenta il ministro, “che richiede un tempestivo intervento politico ed economico”. Staremo a vedere.

La ricerca. Il dato più significativo nell’ambito della ricerca, purtroppo, non è positivo. L’Italia, rispetto alla media dell’area Ocse, spende in media il 30% in meno. I fondi a disposizione del Miur sono diminuiti di un miliardo rispetto al 2009, il che ha comportato una riduzione di personale da parte delle università (le assunzioni dei docenti ordinari, per esempio, sono diminuite del 30% negli ultimi sette anni) e una diminuzione dei corsi di laurea (soprattutto triennali) e di dottorato. Comunue, precisa Fantoni, “nonostante abbiamo un esercito piccolo, i nostri soldati sono molto bravi”. Lo aveva già spiegato Giuseppe De Nicolao di Roars (Return On Academic Research): sebbene l’Italia possa contare su meno risorse e ricercatori degli altri paesi (europei e non), i livelli della ricerca, misurati in termini di pubblicazioni e citazioni, restano comunque di eccellenza rispetto a paesi come Germania, Francia e Giappone. In termini di produzione scientifica, dicono i dati, l’Italia ha una maggiore specializzazione nelle scienze matematiche e fisiche, nelle scienze della terra e nelle scienze mediche. Rimane, purtroppo, una certa disaggregazione territoriale: le università del mezzogiorno hanno risultati meno soddisfacenti di quelle del centro-nord. Gli esperti hanno comunque verificato, tramite un’analisi econometrica, la correlazione tra denaro e qualità della ricerca, che aumenta al crescere dei fondi disponibili per gli atenei. Di qui, purtroppo, non si sfugge.

Credits immagine: Eriwst/Flickr
Via: Wired.it

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