Appropriazione indebita

Venti anni di dibattito politico in Italia sui temi della procreazione medicalmente assistita si sono tradotti in una legge che punisce le donne. La legge numero 40, approvata dal Parlamento italiano entrata il vigore il 10 marzo di quest’anno, infatti, prevede un rigido e invasivo controllo sul corpo femminile e non tiene conto dei numerosi e sostanziali mutamenti sociali avvenuti in materia di famiglia e di concepimento. Può essere riassunto così il significato dei vari contributi di giornaliste, docenti, psicologhe, ed esperte di bioetica, raccolti nel volume “Un’appropriazione indebita. L’uso del corpo della donna nella nuova legge sulla procreazione assistita”, edito da Baldini Castaldi Dalai. In oltre 300 pagine, le autrici raccontano in modo puntuale la storia delle tecniche di procreazione assistita nel nostro Paese e del dibattito, quasi esclusivamente parlamentare, che si è andato a insinuare nelle pieghe più profonde dell’identità femminile e di coppia. Senza però riuscire a trovare soluzioni adeguate al problema dell’infertilità. Così concepita, infatti, la legge finisce per essere una sequela di divieti che invece di andare incontro alle esigenze delle coppie con problemi di fertilità cerca di negare gli innumerevoli cambiamenti del presente. In Italia i centri specializzati sono più di 300 e circa il 20 per cento delle coppie in età riproduttiva presenta problemi di infertilità. Ma, in base alla nuova legge, le terapie per la sterilità sono ammesse solo per le coppie di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile. Chi rientra nei casi più conclamati di sterilità ma non è sposato, né convive, è escluso dalla terapia. Come anche la donna che può concepire ma che non può portare a termine la gravidanza per altre patologie, perché è vietata la possibilità di affidare la gestazione a un’altra donna. E ancora, sono escluse le donne con problemi di ovulazione, perché è vietata la donazione di ovuli, e quelle che hanno un partner infertile dal momento che non possono ricorrere al seme di un donatore. Anche le persone con malattie genetiche non possono accedere alla terapia, perché non sterili e quindi escluse dall’accesso alle tecniche. Così circa dieci mila coppie saranno costrette al “turismo procreativo”, cioè dovranno recarsi all’estero, se ne hanno le possibilità economiche, oppure rivolgersi a un medico clandestino, con seri rischi per la propria salute. Ma le coppie infertili, quelle omosessuali, o portatrici di malattie genetiche o di Hiv esistono e costituiscono una parte consistente della realtà sociale italiana. “Il compito della classe politica in una democrazia avanzata dovrebbe essere quello di registrare l’evoluzione dei comportamenti sociali e stimolare il confronto pubblico”, si legge nel capitolo di Beatrice Busi, “….ma il legislatore ha partorito un’oscura selva di divieti contro la fecondazione assistita: un tentativo scomposto di proibire l’accesso alle nuove tecnologie riproduttive con il fine di delegittimare il mutamento delle relazioni sociali”. Una legge puramente ideologica, che cerca di racchiudere tutto in un ordine naturale biologizzando i ruoli sociali e sacralizzando l’embrione a scapito della donna. Il volume, inoltre, contiene le testimonianze di alcune donne raccolte nell’ambito del progetto “Racconta la tua storia” dall’associazione Madre Provetta, impegnata dal 1995 ad ascoltare le esperienze delle coppie infertili. Chiudono il volume il testo della legge e del manifesto “No alla legge 40/2004”.

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