Arthur McDonald, Nobel per la fisica 2015: “Ecco come ho scoperto che i neutrini hanno una massa”

Arthur McDonald

Canadese, classe 1943, doppiopetto, barba bianca curatissima. Si chiama Arthur McDonald, ha vinto il premio Nobel per la fisica nel 2015 “per la scoperta delle oscillazioni dei neutrini, che ha mostrato che i neutrini hanno una massa” – uno dei più importanti breakthrough scientifici degli ultimi trent’anni – ed è tutt’altro che sazio di scienza. Ha fatto recentemente visita al nostro Paese, in occasione di una conferenza organizzata dall’Ambasciata del Canada, per presenziare alla cerimonia di inaugurazione del progetto Aria, una collaborazione scientifica internazionale che coinvolgerà, per l’appunto, Canada, Italia e Stati Uniti, con l’obiettivo di mettere in piedi il più grande esperimento al mondo per la ricerca della materia oscura, la sfuggente entità che costituisce la maggior parte dell’Universo e su cui ancora sappiamo troppo poco. A margine della conferenza (e in vista dell’imminente settimana dei Nobel: la prossima settimana, infatti, a Stoccolma annunceranno i nomi dei nuovi premiati in medicina, chimica e fisica), abbiamo incontrato McDonald per farci raccontare le sue avventure scientifiche.

Professor McDonald, ci parli di lei. Cosa l’ha spinta a diventare uno scienziato?
Fin da bambino, sono stato da sempre appassionato alla scienza. È stato il mio primo insegnante di matematica a trasmettermi questa passione: poi mi sono iscritto all’università e ho scoperto quanto fosse divertente la fisica. Parlando il linguaggio della matematica, imparando a fare calcoli sempre più sofisticati, è possibile capire come funziona il mondo. Un’esperienza incredibile, di ispirazione enorme. La fisica ci ha dato un’idea di come si è evoluto l’Universo, a partire dal Big Bang, di cosa tiene insieme le particelle, di quali sono le forze che fanno muovere i pianeti nel cielo. Curiosità e divertimento: è questo che mi ha mosso, ed è questo che dovrebbe muovere le nuove generazioni di scienziati. Ai più giovani dico: ricordate sempre che la scienza è divertente. A volte dà risposte prevedibili, altre volte ne dà di completamente inattese. È come se si andasse ogni giorno a lavorare senza sapere quello che succederà.

Spesso si pensa che le scoperte epocali come la sua siano il risultato di intuizioni improvvise, lampi di genio illuminanti e imprevisti. È davvero così?
Certamente: per quanto sia affascinante l’idea dei momenti improvvisi di illuminazione, nella realtà questa rappresenta solo una parte della storia. La strada per arrivare a grandi scoperte è lastricata di lavoro duro, che può durare decenni. La nostra ricerca sui neutrini, per esempio, è iniziata negli anni sessanta. E abbiamo dovuto aspettare fino al 2001 prima di arrivare a conclusioni definitive. Un’avventura che ha coinvolto quasi trecento ricercatori sparsi in tutto il mondo: il momento eureka è arrivato, probabilmente, quando per la prima volta abbiamo reso pubblici i dati sperimentali. In quell’istante tutti gli scienziati che collaboravano al progetto hanno scoperto simultaneamente che i neutrini avevano una massa.

È stata proprio la ricerca sui neutrini a valerle l’assegnazione del Nobel. Ci spiega cosa ha scoperto?
I neutrini, insieme a elettroni e quark, sono le uniche particelle fondamentali che conosciamo. “Fondamentali” nel senso che non ne conosciamo, al momento, costituenti più piccoli. Il Modello Standard delle particelle, l’insieme di leggi che regola il comportamento della materia conosciuta, postulava che i neutrini non avessero massa: ma le evidenze sperimentali, ottenute analizzando i neutrini emessi dal Sole, mostravano il contrario. Grazie a diversi esperimenti siamo riusciti a mostrare che esistono in realtà diversi “tipi” di neutrini, che queste particelle sono in grado di “oscillare” (cioè trasformarsi) tra un tipo e l’altro e che sono effettivamente dotate di massa. La nostra scoperta ha portato a una modifica delle equazioni del Modello Standard per tenere in considerazione, per l’appunto, il fatto che i neutrini avessero una massa.

Veniamo a quella notte. Cosa ha pensato quando le hanno telefonato da Stoccolma? Ha capito subito cosa stava succedendo?
[Ride] Stavo dormendo. In Canada erano le quattro di mattina. Da diverso tempo si vociferava che le nostre scoperte avrebbero potuto aggiudicarsi il Nobel, ma da qualche anno i giornalisti avevano smesso di contattarmi il giorno prima dell’assegnazione dei premi per chiedermi il numero di telefono, quindi non mi aspettavo più la telefonata di Stoccolma. È stata mia moglie a rispondere alla chiamata, inveendo contro l’interlocutore che ci aveva svegliato a quell’ora di notte. Poi mi ha passato la cornetta. Ho riconosciuto subito l’accento svedese e ho capito di cosa si trattava: è stata un’emozione incredibile. Non mi reggevo in piedi: devo ammettere che è stato un risveglio piuttosto movimentato.

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