Banca dati per i terremoti

Mantova, la bassa valle del Serchio (provincia di Lucca), la zona costiera compresa fra Pesaro e Fano, quella che va da Gubbio a Città di Castello (provincia di Perugia), la valle del Melandro – Pergola (provincia di Potenza) e infine l’area del massiccio del Pollino (al confine calabro – lucano). Sono queste le sei nuove aree a rischio sismico italiane individuate dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). “Tranne che nel caso di Mantova”, hanno spiegato i dirigenti di ricerca Gianluca Valensise e Daniela Pantosti nell’ambito di un workshop promosso dalla Scuola internazionale di geofisica del Centro di cultura scientifica ‘’Ettore Majorana’’ di Erice, “si tratta di zone che non hanno subito forti terremoti nell’ultimo periodo storico ma che risultano comprese tra settori dello stesso allineamento e con caratteristiche geologiche simili a quelle che generato forti terremoti in epoche recenti”.

Secondo gli scienziati queste aree hanno potenziali sorgenti sismogenetiche di terremoti con magnitudo maggiore a 5.5 della scala Richter. Per fare un confronto con i terremoti recenti e più noti, basta ricordare quello che ha colpito Colfiorito nel 1997 (magnitudo 5.9) e l’Irpinia nel 1980 (magnitudo 6.9). “Abbiamo individuato le zone calde grazie a una banca dati”, precisa il presidente dell’Ingv Enzo Boschi, “che ingloba e sintetizza i risultati di oltre 15 anni di ricerche sulla sismogenesi in Italia; studi che ci permettono, adesso, di essere molto più precisi di prima”. Si tratta di una raccolta di innumerevoli dati sulla sismicità storica nazionale, dati geologici e geofisici di diversa natura. “I dati vengono opportunamente integrati e tradotti in strutture sismogenetiche individuali, ognuna delle quali è ritenuta in grado di produrre un terremoto di magnitudo superiore a 5.5, o perché lo ha già prodotto in passato, o perché dati geologici e geofisici indicano tale potenzialità”, hanno spiegato Valensise e Pantosti. Questa nuova descrizione si sostituisce in maniera definitiva a quelle tradizionali effettuate con dati di sismicità storica, che per loro natura offrono un’immagine decisamente più sfuocata e forzatamente incompleta del potenziale sismogenetico nazionale. All’interno delle aree indicate, i ricercatori hanno individuato, in maniera ancora più precisa, quelle che sono le zone che presentano il picco più alto del potenziale. Ma in caso di terremoto gli effetti dello scuotimento del suolo non dipendono soltanto dall’intensità della scossa, bensì dalla qualità delle strutture edili e dalla conformazione geologica del sottosuolo. Pertanto non è possibile indicare in maniera fiscale quale paese delle nuove aree a rischio potrà subire più o meno danni.

La banca dati conferma che i terremoti già registrati in passato e quelli attesi si concentrano lungo allineamenti definiti. Il principale di questi allineamenti unisce le creste della catena appenninica della Lunigiana (confine Liguria – Toscana) ai monti Peloritani (Stretto di Messina). Esso è responsabile dei più forti terremoti italiani, e solo nel Novecento ha generato eventi come quello del 1908 (Messina e Reggio), 1915 (Fucino), 1920 (Garfagnana), 1930, 1962 e 1980 (Irpinia), 1997 (Umbria – Marche). Un altro allineamento corre lungo il piede dell’Appennino centro settentrionale, dalla provincia di Parma fino alle Marche meridionali, e ha dato forti terremoti nel 1916 e 1917 intorno a Rimini, nel 1930 a Senigallia, nel 1972 ad Ancona. Un terzo allineamento corre lungo il piede delle Alpi tra il Friuli e la provincia di Brescia e ha dato forti terremoti nel 1901 (Salo’), 1936 (Bellunese), 1976 (Friuli). Terremoti sporadici ma ugualmente rilevanti avvengono lungo degli allineamenti minori esterni alla catena come nel Gargano, nell’area Iblea (Sicilia Sudorientale) e nel Belice. Per questo l’Istituto Nazionale di geofisica e vulcanologia, come ha annunciato il dirigente di ricerca Massimo Cocco, ha puntato l’attenzione, recentemente, su tutta questa zona. “Il motivo è semplice: in questa zona mancano dati storici; non abbiamo termini di confronto”.

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