Categorie: Salute

Batteri ingegnerizzati per combattere il cancro

Una particolare modifica dei batteri della Salmonella potrebbe aggiungere un’arma in più all’arsenale a disposizione dei medici impegnati nella contro il cancro. E’l’idea di un gruppo di ricercatori presentata in un articolo pubblicato sul giornale online dell’American society for Microbiology, messa in pratica con una sperimentazione condotta sugli animali. E i dati raccolti hanno mostrato che una riduzione delle masse tumorali nelle cavie (topi, in questo caso).

Il cancro, nell’ambito dei paesi industrializzati, si è attestato come la seconda causa di morte dopo le patologie cardiovascolari. Questo dato statistico, insieme alle difficoltà incontrate dalle terapie di routine sta generando il bisogno di trovare nuove strategie che possano magari sfociare in nuove opzioni terapeutiche. In questo caso i ricercatori hanno cercato di potenziare la capacità, già parzialmente nota, di alcuni ceppi di Salmonella di contrastare non solo i tumori solidi (come quello di mammella o polmone) ma anche quelli cosiddetti liquidi (quali le leucemie).

La Salmonella è nota ai più come pericoloso contaminante dei cibi, provocando serie intossicazioni alimentari caratterizzate da febbre, vomito e diarrea. In questo studio i ricercatori hanno cercato di sfruttare però le capacità positive dei batteri, eliminando quelle dannose. Il ceppo scelto per i test è stato Typhimurium, una decisione presa in funzione della sua ottima capacità di penetrare nelle cellule tumorali, di qualsiasi tipo.

Questa capacità è stata ulteriormente potenziata modificando i batteri in modo che sulla superficie comparisse un recettore compatibile con le cellule tumorali ma non con quelle sane. Gli esemplari ingegnerizzati sono stati quindi iniettati in topi nei quali era stato indotto un tumore umano. I batteri modificati, una volta entrati in contatto con le cellule cancerose hanno avviato il proprio processo tossico, iniziando una replicazione molto rapida, circa una volta l’ora. Si tratta di un ritmo molto accelerato rispetto a quanto si può osservare nelle cellule sane, all’interno delle quali la replicazione avviene una o due volta al giorno.

Secondo gli autori della ricerca questo metodo, una volta sviluppato pienamente e una volta che si avranno le prove di efficacia anche per gli esseri umani, potrebbe essere affiancato a radio e chemioterapia, aumentando le speranze di guarigione.

Riferimenti: mBio Doi: 10.1128/mBio.00254-15

Credits immagine: CDC via Wikipedia

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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