Una batteria in miniatura alimentata da liquidi corporei. E in grado di azionare un apparecchio elettronico impiantato nel corpo di un paziente. È il dispositivo messo a punto da un team di chimici statunitensi, guidati da Adam Heller dell’Università del Texas, che converte direttamente in elettricità l’energia prodotta quando il glucosio reagisce con l’ossigeno durante il normale metabolismo. Il congegno potrebbe essere inserito a contatto con i fluidi fisiologici contenenti glucosio, sotto la pelle o nel midollo spinale, per esempio. Le pile ad alimentazione biologica non sono una novità: i primi dispositivi capaci di generare potenza dalla reazione glucosio-ossigeno furono infatti costruiti quasi quarant’anni fa. Ma, per essere utili in ambito terapeutico, queste batterie devono essere molto piccole, lavorare alla temperatura, acidità e concentrazione salina del sangue e infine produrre una potenza e un voltaggio adeguatamente alti. Requisiti tutti soddisfatti, garantiscono i ricercatori americani, dal loro nuovo dispositivo. Il quale consiste di due fibre di carbonio, lunghe due centimetri e larghe sette millimetri, ciascuna ricoperta di un catalizzatore che aiuta le reazioni chimiche del glucosio. La batteria funziona a una temperatura di 37° C e a pH 7,2, valori molto vicini a quelli del sangue normale, producendo una potenza di circa 1,9 microwatt. Potrebbe guidare un sensore del glucosio per il controllo dei diabetici, sottolineano gli scienziati, ma non riuscirebbe ad alimentare un cuore artificiale: per una tale applicazione, il dispositivo è ancora troppo debole e non ha una durata sufficiente. (f.to.)
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