Dalle paludi del New Jersey il batterio che degrada i Pfas

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(Foto: David Kelly Crow)

Emerge dalle paludi del New Jersey una possibile soluzione all’inquinamento da Pfas, sostanze perfluoroalchiliche, sospetti interferenti endocrini sotto osservazione da tempo per i loro possibili effetti sulla salute (non ancora del tutto chiari). Uno speciale ceppo batterico nelle paludi del New Jersey, l’Acidimicrobium A6, è in grado di scindere il legame carbonio-fluoro dei PFAS, la struttura molecolare che li rende uno degli inquinanti di natura organica più difficili da eliminare. Lo studio è pubblicato su Enviromental Science & Technology da ricercatori dell’Università di Princeton.

Un possibile trattamento per l’ambiente

Da tempo si cerca un rimedio definitivo contro l’inquinamento dei PFAS – sostanze presenti in molti oggetti di uso comune di produzione industriale, come filo interdentale, moquette, padelle antiaderenti – che mettono a rischio la salubrità dei cibi e dell’acqua potabile. I ricercatori hanno cercato anche tra i microrganismi. Studi precedenti avevano infatti dimostrato che batteri Acidimicrobium A6 possono scomporre l’ammonio presente nel terreno in assenza di ossigeno e i ricercatori si sono quindi chiesti se questi batteri non potessero essere efficaci anche contro i PFAS. Le analisi sul genoma dei batteri indicavano infatti che questi microrganismi potessero essere dei buoni candidati. La capacità di degradare i PFAS in assenza di ossigeno, infatti, li renderebbe attori perfetti per il biorisanamento ambientale, ossia la bonifica del suolo, delle paludi e delle acque del sottosuolo. Peter Jaffe, co-autore dello studio, invita però alla cautela: “Si tratta di una prova di principio, vorremmo ottenere un risultato di rimozione superiore, prima di testarlo come trattamento sul campo”.

Batteri mangia-PFAS per la bonifica del suolo

Le promesse perché Acidimicrobium A6 aiuti a combattere l’inquinamento da PFAS non mancano. In un periodo di incubazione di 100 giorni, il batterio riesce infatti a eliminare dal mezzo di coltura fino al 60% di acido perfluoroottanoico (PFOA) e di acido perfluoroottansolfonico (PFOS), le forme di PFAS più comuni. Nulla esclude che in un tempo maggiore l’Acidimicrobium A6 possa portare ad una rimozione più elevata di PFAS, ammette Jaffe, spiegando come 100 giorni siano stati scelti in modo arbitrario. Il fatto poi che il ceppo batterico sia stato più efficace in un suolo acido e ricco di ferro lascia presupporre che, regolando le condizioni di terreni non predisposti, sia possibile farlo agire anche in ambienti non provvisti di requisiti ottimali. Parte del processo di ottimizzazione sarà anche la caratterizzazione degli enzimi coinvolti nel processo di defluorizzazione che Jaffe e colleghi stanno portando avanti.

Riferimenti:Environmental Science and Technology

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