C’è un batterio che produce proteine sintetiche mai viste

Batterio semisintetico (E.coli) che produce una proteina verde attraverso un codone “innaturale”. (Credit: William B. Kiosses)

A, T, C e G – adenina, timina, citosina e guanina. Sono le 4 lettere dell’alfabeto genetico, i mattoni strutturali del DNA. Le basi azotate, da anni, sono il focus centrale della biologia sintetica, con cui i ricercatori ambiscono a sviluppare nuove funzioni biologiche e, perché no, altre forme di vita. Dopo i risultati promettenti ma incerti ottenuti finora, oggi un nuovo traguardo è stato raggiunto dallo Scripps Research Institute di La Jolla, California, che ha messo a punto un batterio dal genoma modificato – con l’aggiunta di due basi artificiali, per un totale di 6 basi azotate – in grado di produrre proteine semi-sintetiche con la stessa stabilità ed efficacia con cui vengono prodotte quelle naturali. Lo studio è stato pubblicato su Nature.

Già nel 2014, dopo quasi vent’anni di sforzi, lo stesso gruppo di ricerca condotto da Floyd Romesberg aveva messo a punto un organismo semi-sintetico dotato di un alfabeto genetico espanso: grazie all’impiego di opportuni plasmidi piccoli filamenti circolari di DNA usati come vettori i ricercatori erano riusciti a produrre in coltura cellule del batterio Escherichia coli dotate di una coppia aggiuntiva di basi azotate artificiali (X-Y). Pur testando diverse condizioni di crescita, il batterio però continuava a crescere in modo debole e instabile, a prova di una sintesi di proteine non adeguata, di fatto, a garantire una vita “semi-sintetica” vera e propria. Il batterio ricreato in laboratorio conteneva una maggiore quantità di informazione genetica rispetto al cugino presente in natura, ma non era in grado di conservare e trasmettere al meglio il DNA artificiale integrato.

A pochi anni di distanza, oggi, i ricercatori dello Scripps Research Institute hanno fatto il passo successivo: un batterio “mutante” provvisto di tre coppie di basi azotate (non solo A-T e C-G ma anche X-Y), che riesce a codificare il DNA aggiuntivo e a tradurlo in proteine con la stessa efficacia con cui queste vengono prodotte in natura. L’analisi di quanto contenuto all’interno della cellula – attraverso immunofissazione, o western blotting – questa volta dimostra che le cellule modificate e naturali analizzate producono materiale proteico in quantità e qualità sostanzialmente uguali. Un successo che potenzialmente apre le porte ad una nuova era della biologia sintetica, accanto ai già noti traguardi raggiunti dal team di Craig Venter.

Ma è bene andare cauti. I risultati raggiunti riguardano i codoni artificiali messi a punto nella ricerca, che per ora sono “soltanto” due. Cosa si intende per “codone”? Una successione di tre basi azotate forma un codone, ciascuno dei quali viene riconosciuto e convertito nel rispettivo amminoacido la componente strutturale della proteina – durante il processo di sintesi proteica che avviene all’interno della cellula. In natura, con quattro basi azotate in gioco, abbiamo 64 codoni a codificare per un totale di 22 amminoacidi. Ma si tratta di numeri che la biologia sintetica può stravolgere completamente. “Sin dalla più antica forma di vita terrestre, le proteine sono state sintetizzate decifrando i codoni, a loro volta basati su un alfabeto genetico composto da 4 nucleotidi e basi azotate – spiega Romesberg – Oggi abbiamo dimostrato che è possibile codificare due nuovi codoni creati amplificando l’alfabeto genetico. Non solo: questi due codoni artificiali possono essere tradotti in amminoacidi (non canonici, ncAAs, nda) con la stessa efficacia delle loro controparti naturali”.

Credit: Adapted from an image created by Dennis Sun, Mezarque Design (www.mezarque.com)

La creazione di proteine artificiali è da tempo uno degli obiettivi più agognati della ricerca scientifica. Pur interessando finora solo due codoni, il traguardo raggiunto in California introduce la biologia a tutto un ventaglio di possibilità, soprattutto considerando l’impiego combinato della innovativa tecnologia Crispr-cas9, che come fanno notare gli autori dello studio, potrebbe servire ad allungare le sequenze in cui inserire nuove basi azotate artificiali. “Questo permetterà di esplorare l’utilizzo di nuovi codoni artificiali e di aumentare l’accuratezza anche nell’integrazione degli amminoacidi non canonici. In definitiva, quella ottenuta potrebbe essere solo la prima di un’ampia categoria di forme di vita semi-sintetiche, dotate di caratteristiche e funzioni che negli organismi naturali non sono previste”.

Riferimenti: Nature

Matteo Gullì

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