Dal Big Bang alla materia oscura. L’astrofisica spiegata a chi va di fretta

È questo uno di quei casi in cui il titolo del libro è veramente appropriato: parliamo del saggio scritto dall’astrofisico Neil deGrasse Tyson, che offre al lettore “che va di fretta” una quantità di sollecitazioni e spunti interessanti da approfondire poi in tempi più rilassati.

La storia del nostro Universo raccontata dagli astrofisici inizia circa quattordici miliardi di anni fa, ma l’interpretazione di quanto sia effettivamente successo è ancora molto ambigua: poiché la relatività generale di Einstein e la meccanica quantistica danno dell’evento due descrizioni formalmente incompatibili, gli scienziati cercano di combinarle in una unica teoria detta di “gravità quantistica”; ma tuttora nessuna legge nota della fisica è in grado di delineare con certezza il comportamento dell’Universo nei primi istanti della sua formazione.

(Foto: Raffaello Cortina Editore)

Neil deGrasse Tyson

Astrofisica per chi va di fretta

Raffaello Cortina Editore, 2018.

pp. 140, Euro 14.00

Di solito la divulgazione offre la sintesi di importanti conquiste scientifiche utilizzando termini ed espressioni non sempre comprensibili; al contrario Tyson pone ai suoi colleghi astrofisici, magari per gioco, le stesse domande che potrebbe porsi un lettore inesperto: cosa è successo all’inizio? E se l’Universo fosse semplicemente comparso nulla? E se il nostro uni-verso fosse un elemento di un multi-verso? O una simulazione inventata da una specie aliena? Le risposte della scienza si fondano sulla universalità delle leggi fisiche, ma molto ancora bisogna capire e spiegare. Per esempio, cosa si sa oggi sulla materia oscura che ha effetti gravitazionali sulla materia ordinaria ma le cui caratteristiche sono tuttora misteriose? E cosa dire dell’energia oscura, una misteriosa pressione che agisce nello spazio vuoto in direzione opposta alla gravità? Ogni nuova osservazione, ogni nuovo dato rilevato (e rivelato) permette lo sviluppo di nuove conoscenze ma al tempo stesso pone vincoli alle teorie costruite in precedenza, quando non si erano ancora raccolti abbastanza dati per confermarne la correttezza. E molte domande restano ancora senza risposta.

Il racconto di Tyson ci porta in un veloce viaggio tra le galassie, all’indietro nel tempo, visto che la luce che oggi si può raccogliere è stata emessa chi sa quanti anni luce fa. Colore, temperatura, emissione di radiazioni da parte degli oggetti celesti permettono agli astrofisici sguardi che vanno sempre più indietro e sempre più lontano, pongono domande ancora senza risposta su quanto può essere successo nell’Universo in questi lunghissimi intervalli di tempo. Si analizza la luce che proviene da nuclei di galassie superluminose, i quasar, e che arriva sulla Terra ostacolata da gas che ne assorbono parte durante il percorso, come le nubi di idrogeno identificate per la prima volta una quarantina di anni fa. E ancora domande: cosa sono queste nubi? Come si sono formate? Quanto è vuoto, realmente, lo spazio vuoto?

Forse la domanda più importante riguarda le caratteristiche dinamiche del nostro Universo: siamo in un sistema statico o in un sistema in espansione? Che dati potrebbero servire per trovare una risposta? E se l’universo fosse statico sarebbe stabile o instabile? L’allontanamento delle galassie dalla via Lattea farebbe pensare a una espansione cosmica, come Hubble aveva previsto per primo. Ma come avviene questa espansione? La materia ordinaria rappresenta solo il 5% del totale conosciuto, la materia oscura si ferma al 27% ed entrambe sono responsabili di forze gravitazionali. Oggi si conoscono le manifestazioni della forza repulsiva che si oppone alla gravità, cioè della energia oscura responsabile del 68% della massa-energia totale dell’Universo. Nella modellizzazione matematica che sempre accompagna le osservazioni sperimentali i conti devono tornare e bisogna introdurre, per questo, una “costante cosmologica” già ipotizzata da Einstein. Cosa sia questa costante non si sa, ma gli astrofisici sanno come misurarla e come calcolare i suoi effetti sul passato, presente e futuro del cosmo. E Tyson si interroga, con l’ansia di non riuscire a trovare una risposta, sulla validità delle attuali interpretazioni e su quello che forse manca nelle moderne teorie per poter dare soluzioni soddisfacenti.

Quasi per rassicurare il lettore in questa problematica galoppata ai confini del conosciuto, ecco una veloce rassegna degli elementi chimici che si sono formati nelle fornaci stellari e che si sono dispersi nell’Universo. Gli elementi che gli umani hanno catalogato nella Tavola Periodica da più di un centinaio di anni costituiscono i pianeti del sistema solare e anche le migliaia di piccoli pianeti , sassi e asteroidi che si trovano nella fascia individuata tra Marte e Giove e che talvolta si vedono attraversare il cielo come luminose stelle cadenti. Gli elementi formati nelle stelle costituiscono la terra che conosciamo, i viventi, il nostro stesso corpo. Ma quali strumenti sono stati necessari per individuarli nel cosmo? Come si conducono oggi le esplorazioni nello spazio profondo, fino ai tempi antichissimi della formazione dell’universo? Quali segnali gli astrofisici sono in grado di raccogliere, analizzare e sistematizzare per coordinare teorie e interpretazioni?

La luce visibile, raccolta da lenti di telescopi simili a quelli costruiti da Galileo, ha rivelato la struttura di oggetti celesti vicinissimi alla Terra; le possibilità di osservazione si sono poi estese all’intero spettro elettromagnetico, dalle basse frequenze ed energie fino alle alte frequenze ed energie, utilizzando via via onde radio, microonde, infrarosso, luce visibile, ultravioletto, raggi X e raggi gamma. E gli strumenti che le utilizzano hanno ormai delle dimensioni straordinarie, come il radiotelescopio costruito in Cina nel 2016 che ha 500 metri di apertura, più grande di 30 campi da calcio, o come l’interferometro costruito in New Mexico, formato da 27 antenne da 25 metri che scorrono su 35 chilometri di binari sistemati in una pianura deserta.

Tyson, preso dalla bellezza e dalla intensità della visione cosmica a cui l’astrofisica permette l’accesso, chiede che l’umanità non perda la possibilità di esplorare e di comprendere quello che oggi si trova al di là dei limiti del conosciuto. E invoca l’umiltà della conoscenza scientifica che pone l’uomo in relazione con l’intero Universo, sapendo che la Terra è un granello di polvere nello spazio ma anche l’unica casa a nostra disposizione. Da una tale prospettiva cosmica nasce necessariamente un’etica, una presa di coscienza dell’uomo su se stesso e sulle proprie capacità, una riflessione sulla sua piccolezza e sulla sua grandezza. Sentire la materia dell’Universo che vive dentro di noi dovrebbe dare grandezza al nostro sguardo, aiutarci a superare le meschinità e le piccolezze umane. L’uomo dovrebbe utilizzare le sue capacità di conoscenza per sentirsi parte della lunga catena cosmica che unisce i viventi del presente a quelli del passato e del futuro, cogliere la bellezza nelle immagini dell’universo e spingersi sempre più avanti nella comprensione del mondo. Nel corso dei secoli, conclude Tyson, le scoperte umane hanno via via aperto nuove finestre sul cosmo, hanno permesso nuovi modi di pensare, hanno modificato anche l’immagine di noi stessi. Ed è compito della scienza fare che queste finestre restino aperte, accessibili agli occhi di tutti, per permettere agli uomini di spingersi, con saggezza, sempre più lontano.

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