Esce in questi giorni “Bioetica – discipline a confronto (le responsabilità della scienza nella società moderna)”. Un libro che raccoglie alcuni tra i più significativi contributi italiani su un tema così attuale e ricco di implicazioni come quello della bioetica. Tra gli autori, Giovanni Berlinguer, presidente del comitato nazionale di bioetica, e molti altri tra docenti universitari ed esperti in comunicazione della scienza. Galileo ha incontrato Fabrizio Rufo, ricercatore presso l’Università La Sapienza, uno dei curatori del libro.
Da cosa nasce l’idea di questo libro?
“Abbiamo voluto raccogliere le lezioni svolte al corso di perfezionamento in bioetica dell’Università La Sapienza, durante l’anno accademico 2000-2001. Si tratta di interventi di docenti universitari italiani di variegata formazione. Una raccolta di saggi con un comune denominatore: l’idea di una bioetica interdisciplinare e multiculturale, contraria a ridurre il ragionamento su temi di tale portata a facili banalizzazioni e a pericolosi dogmatismi. Il volume contiene saggi che affrontano i problemi dell’equità nella salute, le questioni del nascere e del morire, i problemi relativi alle sperimentazioni di farmaci, quelli relativi ai rapporti con l’ambiente e con gli animali, e si conclude con una ricca riflessione epistemologica”.
Coniugare discipline diverse, dalla biologia alla filosofia, dalla sociologia all’economia. Una grande sfida.
“Sì, ma necessaria. Sempre di più la bioetica rischia di rinchiudersi in un ambito esclusivamente clinico, anziché essere un momento di riflessione più generale su come le nuove scoperte scientifiche e le applicazioni tecnologiche delle bioscienze stiano cambiando il rapporto tra scienza e società. Il rischio è quello di ridurre la bioetica a una disputa di sapore medievale aggiornata, su questioni ristrette al campo delle pratiche cliniche. Una disputa tra circoli, tra teologi, filosofi e scienziati, una vuota speculazione che però non ha alcuna incidenza su aspetti assai più importanti, come la discrepanza tra la rivoluzione scientifica in corso e le strutture sociali, le culture politiche che dovrebbero governarla”.
Cosa intende per discrepanza?
“Vi è una discrepanza tra la rivoluzione scientifica alla quale stiamo assistendo e la crescente insufficienza dei sistemi sociali e dei meccanismi di governo. Credo che il vero nodo sia questo: la bioetica dovrebbe riflettere su come ricreare una connessione tra questi due momenti. Da questo punto di vista il mondo anglosassone è più attento a questo tema. Nei paesi anglosassoni, il rapporto scienza e società è un rapporto storicamente più strutturato. In primo luogo c’è un distacco netto tra ciò che è laico e ciò che è religioso. Le confessioni religiose esprimono i loro pareri, ma il momento politico è un’altra cosa. E senza che ciò determini fratture laceranti nel corpo sociale. Questa distinzione è consapevolmente accettata da tutti. Un elemento che non è presente con la necessaria chiarezza in Italia. La distinzione che c’è tra l’esprimere opinioni e il determinare o imporre orientamenti è una barriera sottile, ma non deve essere superata”.
Dove si manifesta più frequentemente questa sorta di pervasività della religione cattolica?
“Nei rapporti sociali quotidiani più che nei consessi di esperti, nei quali spesso si ricerca il compromesso, nell’accezione più nobile del termine. Un accordo su temi importanti, un consenso ampio. Ma se pensiamo che ci sia un gruppetto di esperti, anche se di diversa provenienza culturale e preparatissimi, che possa fornire una sorta di pacchetto preconfezionato da tradurre in legge dello Stato, non siamo sulla strada giusta. Questi esperti dovrebbero avere come loro compito quello di creare un sapere diffuso una consapevolezza collettiva, su temi di rilevanza capitale”.