Vita sintetica, ecco dove siamo arrivati

dna crispr

Materia di tutt’altro che facile definizione, la biologia sintetica, che sfugge alle maglie delle classificazioni rigide. Un po’ biologia sì, ma anche chimica, ingegneria, informatica, fisica. Una delle definizioni che meglio cerca di abbracciare una branca così sfuggente alle classificazioni è quella della rivista Nature, che la definisce così: “la biologia sintetica consiste nella progettazione e nella costruzione di nuove parti biologiche, dispositivi e sistemi, e nel ridisegnare sistemi biologici naturali, esistenti, ai fini di renderli utili a qualche scopo”. Al di là delle definizioni, nei fatti, occuparsi di biologia sintetica, e rimanendo confinati allo spazio piccolo, e già complicatissimo da replicare, della cellula in sé, la storia in pochi anni ha già collezionato una serie di traguardi. Come a dire: la casa ancora non è del tutto fatta, ma di mattoni ne sono stati messi insieme diversi. Sia per quanto riguarda la struttura (le membrane cellulari e i gli organelli interni) che l’anima della casa, gli arredi interni (soprattutto il dna, il regista della vita di ogni cellula, anche in versione modificata). Ecco i principali mattoni messi insieme negli ultimi anni.

Genomi sintetici
L’ultima conquista in ordine temporale, è quella appena presentata sulle pagine di Science, con l’annuncio della creazione di cinque nuovi cromosomi sintetici di lievito. Cinque che si aggiungono al primo cromosoma di lievito sintetico creato nel 2014. Mettendo insieme tanti pezzi di dna, e affidando il completamento del cromosoma al lievito, i ricercatori del Synthetic Yeast Genome Project (Sc2.0) sono riusciti a creare 5 nuovi cromosomi, in grado di integrarsi nel lievito, ovvero di guidare i processi biologici al pari delle loro controparti naturali. Lo scopo ultimo è quello di assemblare in laboratorio un genoma complesso, quale quello di un eucariote (per intenderci: anche le cellule dell’essere umano, così come quelle di tutti gli animali sono eucariotiche). Per farne cosa? L’obbiettivo più ampio è quello di mettere insieme una macchina per la produzione di sostanze che abbiano un qualche interesse per l’essere umano, per esempio in medicina, o che possano essere utili all’ambiente, per esempio ripulendolo dagli inquinanti. Lo scopo insomma è quello di creare genomi sintetici per riprogrammare forme di vita.

Prima ancora di arrivare agli eucarioti però, una star della biologia molecolare, Craig Venter, famoso per aver, tra l’altro, sequenziato per primo il genoma umano, era già arrivata al traguardo di un intero genoma sintetico. Su un modello più semplice: una cellula procariotica, ovvero un batterio. Nel 2010 il team di Venter aveva infatti sintetizzato in laboratorio il genoma di Mycoplasma mycoides per poi introdurlo all’interno di un altro batterio privato del proprio materiale genetico. La cellula è risultata non solo vitale ma anche in grado di riprodursi, di fatto classificandosi come uno dei traguardi più importanti mai raggiunti nel campo della biologia sintetica: la creazione di una cellula batterica controllata da un genoma creato artificialmente.

Cellule minime
È uno degli obbiettivi della biologia sintetica: la creazione di cellule minime, che contengano solo ciò che è strettamente essenziale alla vita. Per realizzare strutture utili nel campo della medicina, per esempio, ma più in generale per capire qualcosa di più su ciò che è vita e anche per comprendere come si sono evolute le prime forme sul nostro pianeta. Un traguardo in realtà già raggiunto. Lo scorso anno, infatti, sempre il team di Craig Venter, annunciava sulle pagine di Science la creazione di un genoma batterico minimo, ovvero contenente solo i geni strettamente necessari alla vita. Quanti? 473. La cellula in questione è stata ribattezzata Syn 3.0 ed è stata ottenuta essenzialmente con un processo di sottrazione e miniaturizzazione dalla cellula con genoma sintetico ottenuta in precedenza, ovvero testando quali segmenti genomici e quanti geni erano necessari a creare una cellula vitale, fino a raggiunge appunto quota 473.

Oltre il softwarwe: la struttura
Considerando la biologia sintetica solo per quella parte della branca che si occupa di ricreare artificialmente sistemi come la cellula, lo scopo non è solo quello di mettere mano al dna. Come ci insegna l’informatica il software guida, ma è essenziale farlo poi girare su un hardware. Mantenendoci nel campo delle metafore, non basta ricreare il dna, è necessario anche saper maneggiare i componenti cellulari. Perché una cellula è moto di più del suo nucleo contente il dna.

Anche in questo campo la biologia sintetica ha raggiunto traguardi importanti, non solo per quel che riguarda la sintesi e la progettazione di macromolecole, come le proteine, un po’ i tuttofare della biologia (dalle attività enzimatiche, ai ruolo strutturali, a quelle di regolatrici dell’espressione di geni).

Una cellula è prima di tutto un ambiente confinato, separato dall’esterno dalla presenza di una membrana cellulare. Tentativi di ricreare questo ambiente si susseguono da decenni, e negli ultimi anni in questo campo diversi sono stati i traguardi tagliati. Nel 2012, per esempio, uno studio pubblicato su Journal of the American Chemical Society mostrava come fosse possibile creare membrane cellulari capaci di assemblarsi da sole, utilizzando reazioni chimiche che, rivendicavano gli autori della ricerca, non avevano equivalenti in biologia. Una scoperta che potrebbe aiutare a capire come sia avvenuto in passato il passaggio da materiale non vivente a materiale vivente. Appena due anni dopo, un’altra ricerca portava il traguardo a un gradino superiore. La membrana cellulare infatti non è l’unico compartimento di una cellula, considerando le più complesse cellule eucariotiche con diversi organelli ciascuno adibito a svolgere una specifica funzione. Nel 2014 dall’Olanda arrivava la notizia della creazione di una cellula eucariotica, con tanto di organelli, capace di svolgere qualche reazione chimica. I ricercatori a capo dello studio erano riusciti nell’impresa usando del materiale plastico: sfere di polistirene, riempite di enzimi, immerse in acqua e poi rivestire di un polimero che funzionasse da membrana cellulare. L’anno dopo la struttura della cellula artificiale si sarebbe arricchita di un componente più nella corsa all’imitazione di quelle naturali: il ribosoma, la fabbrica delle proteine.

Via: Wired.it

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here