Rignano Garganico la farina più antica del mondo

    Non di solo caccia viveva l’Homo sapiens che già 32mila anni fa raccoglieva, macinava e cuoceva avena. È quanto risulta da una scoperta realizzata da Marta Mariotti, associato di Botanica sistematica dell’Ateneo fiorentino, che ha esaminato i residui vegetali rimasti intrappolati dentro i solchi di una macina nella Grotta di Paglicci (Rignano Garganico, Foggia), facendo emergere che già nel Paleolitico superiore si conoscessero le prime tecniche per la preparazione della farina da cereali.

    La ricerca, pubblicata su Pnas, è stata realizzata in collaborazione con Bruno Foggi del Dipartimento di Biologia, Annamaria Ronchitelli del Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena e direttrice dello scavo, Biancamaria Aranguren della Soprintendenza Archeologica della Toscana e Anna Revedin dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. Lo stesso gruppo di lavoro aveva scoperto ad aprile una farina nel sito di Bilancino, nel Mugello, risalente “solo” a 30mila anni fa.

    “Sulla superficie della macina– spiega Mariotti –abbiamo trovato granuli di amido di avena, molto probabilmente Avena barbata L., e questa è al momento la prima testimonianza dell’uso di questa pianta. Il particolare stato di conservazione dei granuli di amido ci ha indotto a credere che i chicchi (le cariossidi), siano stati sottoposti ad un trattamento a caldo prima di essere macinate”.

    “La nostra tesi è che la lavorazione delle cariossidi avvenisse a più stadi dopo la raccolta: il trattamento termico e la macinazione, rilevati in questo lavoro, e poi, presumibilmente, la successiva aggiunta di acqua e la cottura. Va detto che questo tipo di procedimento
    è ancora in uso in Asia ai giorni nostri”.

    Riferimenti: Multistep food plant processing at Grotta Paglicci (Southern Italy) around 32,600 cal B.P. Marta Mariotti Lippia, Bruno Foggia, Biancamaria Aranguren, Annamaria Ronchitelli, Anna Revedin; Pnas Doi: 10.1073/pnas.1505213112

    Credits immagine: Stefano Ricci (Università di Siena)

     

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