Ingoiano e spaghettificano tutto quello che gli càpita a tiro, luce compresa. Sono densi, densissimi, così tanto che la loro densità non ha neppure un valore finito, ma diverge in quello che gli scienziati chiamano “singolarità”, un punto in cui le grandezze sfuggono all’infinito e le “normali” leggi della fisica cessano di valere. Insomma: comunque li si guardi, i buchi neri sono un’entità complessa e misteriosa, che la fisica moderna ancora non è riuscita a comprendere e descrivere se non per ipotesi, più o meno verificabili. L’ultima e affascinante teoria sulla natura dei buchi neri arriva da uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Physical Review D da parte di un gruppo di scienziati della Ben-Gurion University, in Israele, e postula che i buchi neri potrebbero in realtà essere uno strano oggetto quantistico descrivibile come “stella congelata”. Se questo fosse vero – il periodo ipotetico è d’obbligo, perché al momento si tratta di un’ipotesi interessante e nulla più – si risolverebbero di colpo alcuni dei problemi e dei paradossi legati ai modelli “tradizionali” di buco nero, tra cui, per l’appunto, la presenza di una singolarità e il cosiddetto paradosso di Hawking, proposto per la prima volta dal fisico britannico nella metà degli anni settanta e al momento ancora insoluto.
Singolarità e distruzione delle informazioni
Prima di esaminare l’ipotesi appena proposta, soffermiamoci un momento sui due problemi che abbiamo appena citato. Il primo, quello della singolarità, rappresenta una questione che ai fisici proprio non va giù, una frattura irrisolvibile tra teoria ed evidenza. Le equazioni della teoria della relatività generale di Albert Einstein, che descrivono il comportamento della gravità, prevedono con grande precisione la geometria dello spazio-tempo dovuta alla presenza di masse che la deformano, ma quando vengono “spinte al limite”, ossia quando si ha a che fare con masse sufficientemente elevate, danno come risultato un collasso gravitazionale che tende a concentrare lo spazio-tempo in un unico punto, con curvatura e densità infinita, il cui limite è detto “orizzonte degli eventi” (un buco nero, per l’appunto). Il problema è che il concetto di “infinito” è puramente matematico, dal momento che in natura non può esistere nulla di realmente infinito: per questo motivo gli scienziati stanno da tempo cercando una teoria alternativa che rimetta a posto gli infiniti. Il paradosso di Hawking è ancora più complesso, ed è emerso quando il fisico britannico ha provato a “incorporare” la meccanica quantistica all’interno dei modelli dei buchi neri: dai suoi calcoli è emerso che, proprio a causa di effetti quantistici, occasionalmente alcune particelle potrebbero sfuggire dall’orizzonte degli eventi, dando luogo a una lentissima (ma costante) perdita di energia, sotto forma di radiazione, da parte del buco nero, che in capo a (molto) tempo porterebbe alla sua evaporazione. Il paradosso emerge quando si considera che questa radiazione non porta alcuna informazione sulla materia che originariamente compone il buco nero: e dunque, se questo evaporasse, l’informazione sulla sua natura andrebbe persa per sempre, il che è in contraddizione con il principio della meccanica quantistica che postula che l’informazione non può essere distrutta. Per questo motivo, il paradosso di Hawking è detto anche paradosso della perdita dell’informazione.
Buchi neri? No, stelle congelate
Il modello della “stella congelata”, secondo gli scienziati che lo hanno proposto, permetterebbe di risolvere i due problemi appena descritti fornendo comunque una descrizione dei buchi neri compatibile con le evidenze sperimentali. “Le stelle congelate sono oggetti molto simili ai buchi neri – ha spiegato a Live Science Ram Brustein, uno degli autori del lavoro appena pubblicato – ma senza tutte le loro caratteristiche ‘scomode’ come la singolarità e l’orizzonte degli eventi. Se esistessero per davvero e fossero proprio loro i buchi neri, bisognerebbe modificare in modo significativo e fondamentale la teoria della relatività generale di Albert Einstein”. Il modello, ovviamente, è molto complesso e tecnico: semplificando molto, gli autori hanno immaginato degli oggetti molto compatti e composti da materia ultra-rigida (congelati, per l’appunto) con proprietà ispirate alla teoria delle stringhe (una teoria che tenta di riconciliare la meccanica quantistica e la relatività generale) che sembrano essere degli ottimi candidati a ricoprire il ruolo dei buchi neri. “Abbiamo dimostrato – dice ancora Brustein – che queste stelle congelate si comportano come assorbitori quasi perfetti, sebbene siano privi di orizzonte degli eventi, e sono anche in grado di emettere onde gravitazionali. Possono assorbire quasi tutto ciò che si avvicina loro, proprio come i buchi neri, hanno la stessa geometria esterna prevista dai modelli ‘convenzionali’ dei buchi neri e ne riproducono perfino le proprietà termodinamiche”.
Alla prova sperimentale
Come dicevamo all’inizio, al momento tutto questo è solo una bella ipotesi o poco più. Bisognerà prima immaginare, e poi eventualmente realizzare, degli esperimenti e delle osservazioni per comprendere se il modello delle stelle congelate potrebbe funzionare. Possibili candidate per discriminare tra i modelli “convenzionali” e quello delle stelle congelate sono le onde gravitazionali, che potrebbero portare con sé informazioni sulla struttura interna delle stelle congelate. “Dobbiamo ancora studiare quale potrebbe essere la struttura interna di questi oggetti – ha concluso lo scienziato – e in che modo differirebbe da quella di altri oggetti cosmici come le stelle di neutroni, ma in linea di principio la cosa si può fare. Un’eventuale conferma di una qualsiasi delle previsioni del modello delle stelle congelate avrebbe un impatto rivoluzionario sulla fisica”.