Ilaria Caiazzo, dalle nane bianche alle serie tv di fantascienza

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(Foto: Jakub Ostrowski)

La scoperta della nana bianca più piccola e più massiccia mai osservata prima circola ormai da qualche giorno, dopo la pubblicazione dell’articolo su Nature, così come le notizie sulla prima autrice. Per quel che riguarda la stella, essa è nata dalla fusione di due nane bianche più piccole, ha una massa 1.35 volte quella del Sole e un diametro simile a quello della Luna. È caratterizzata, insieme alla sua estrema densità, dal fatto che ruota molto velocemente intorno al proprio asse e ha un campo magnetico molto intenso – caratteristiche che hanno subito attirato l’attenzione della giovane ricercatrice. Lei si chiama Ilaria Caiazzo, ha 32 anni, origini piemontesi e lavora come ricercatrice postdoc al California Institute of Technology, uno degli istituti di ricerca più rinomati al mondo. Galileo l’ha raggiunta durante un suo soggiorno in Italia, per conoscere attraverso le sue parole cosa c’è dietro questa importante scoperta e cosa nutre la passione di questa giovane e talentuosa astrofisica.

La nana bianca che avete osservato è la più massiccia e più piccola di sempre. Come possono coesistere questi due aggettivi sulla stessa stella?

“È un po’ controintuitivo perché le stelle normali più sono massicce e più sono grandi. Per le nane bianche non è così. Diversamente dalle stelle normali al cui centro è attiva la fusione nucleare – che fornisce l’energia e la pressione necessarie a non collassare sotto il proprio stesso peso – infatti, la pressione che consente alle nane bianche di vincere la forza di gravità attraverso ha origine dalla meccanica quantistica. Per questo, più sono pesanti, più diventano compatte e quindi piccole. La nostra stella è la più piccola nana bianca mai osservata, e quindi, anche la più massiccia”.

Rappresentazione artistica della nana bianca scoperta e rappresentata, per confronto, a fianco della Luna. Credits: Giuseppe Parisi

Come vi siete interessati a questo oggetto?

“Collaboro con un team che utilizza lo Zwicky Transient Facility (Ztf) all’osservatorio Palomar, in California. È un telescopio che osserva tutto il cielo settentrionale una volta ogni due notti, in modo da trovare le stelle che variano. La nostra stella, in particolare, variava in luminosità ogni 7 minuti, un tempo brevissimo nel quale essa riesce a compiere una completa rotazione attorno al proprio asse. Per fare un paragone, il Sole ruota in 27 giorni. Che fosse una nana bianca, già lo sapevamo, perché era stata osservata da altri telescopi, ma questo dettaglio ci ha incuriosito molto. E abbiamo deciso di osservarla con altri telescopi”.

Per misurarne massa e diametro?

“In realtà, solo il diametro. La massa è legata a questo tramite una relazione precisa data dalla fisica a cui accennavo prima. Abbiamo usato il telescopio spaziale Swift, che osserva alle frequenze dell’Uv e dei raggi X. Oltre al diametro, siamo anche riusciti a stimare la temperatura della stella”.

Come si può formare una nana bianca come questa?

“Circa il 97 per cento di tutte le stelle finisce la propria vita in questo modo. Le nane bianche sono delle specie di cadaveri stellari. Anche il Sole, fra cinque miliardi di anni circa, quando esaurirà tutto il combustibile e interromperà la fusione nucleare al centro, diventerà una nana bianca. La nana bianca che abbiamo scoperto, però, è particolare, perché non ha avuto un solo genitore, ma due. Moltissime stelle passano la loro vita in coppia, orbitando l’una attorno all’altra in un sistema binario. In questo caso, le due compagne sono diventate entrambe nane bianche al termine della loro vita e, in seguito, hanno cominciato a spiraleggiare l’una verso l’altra perdendo energia sotto forma di onde gravitazionali e si sono fuse in un unico, oggetto estremo. Lo abbiamo capito perché ruota molto velocemente attorno al proprio asse e ha un campo magnetico fortissimo – più di un miliardo di volte il campo magnetico terrestre. Queste due caratteristiche, assieme a massa e diametro, ci informano sulla sua nascita particolare”.

Quale sarà il suo destino?

“Non lo sappiamo. Quando due nane bianche si fondono possono succedere due cose: il sistema può esplodere in una supernova o può formarsi una nuova nana bianca. Il discriminante è quanta massa c’è nelle due stelle prima che si uniscano: se la massa è troppa il sistema esplode in una supernova, se invece è al di sotto di un certo limite questo non succede. La nostra nana bianca è così massiccia che si trova proprio su quel limite. Come se fosse sull’orlo del precipizio, sopravvissuta per un soffio. Al suo interno però stanno già accadendo alcune cose che potrebbero, in futuro, farle incontrare quel destino che aveva evitato per pochissimo”.

Cioè, che sta succedendo?

“I nuclei di sodio nel nucleo stanno catturando degli elettroni, e facendolo si trasformano in nuclei di neon. Questo processo – che si chiama electron capture – è terribile per la nana bianca perché gli elettroni sono quelli che creano la pressione necessaria per vincere il collasso gravitazionale. E più elettroni vengono rimossi, più la nana bianca diventa piccola e compatta, fino al punto in cui non potrà più resistere alla gravità e collasserà. Sappiamo che questo processo è in corso in questo momento, ma non sappiamo con certezza cosa accadrà dopo. La nana bianca potrebbe anche ‘congelarsi’, e frenare questo processo”.

Se dovesse succedere, invece, come finirà la storia?

“Ci sono due possibilità. La prima: la nana bianca esploderà come una supernova, e finalmente incontrerà il destino al quale era sfuggita, oppure diventerà una stella di neutroni. Si tratta di un oggetto ancora più estremo perché, mentre la nana bianca è grande come la Luna, la stella di neutroni è grande come una città – circa 20 km di diametro. Se questo accadesse, sarebbe una scoperta nella scoperta: avremmo trovato un modo completamente nuovo per creare una stella di neutroni, diverso rispetto a quanto teorizzato classicamente dall’evoluzione stellare”.

Vi metterete alla ricerca di altri oggetti simili in futuro?

“Assolutamente sì, il mio progetto di ricerca a Caltech è proprio questo. Quella appena pubblicata era la prima scoperta, ed era così interessante che valeva la pena dedicarvi un articolo intero. Però stiamo trovando tante nane bianche magnetiche che ruotano velocemente”.

A proposito di ricerca, lei è coinvolta in molti progetti diversi. Come fa a trovare il tempo di spaziare così tanto?

“Non è facile, ma io sono molto curiosa e non riesco a fossilizzarmi troppo su un argomento. Mi piace esplorare e lanciarmi in cose diverse, anche se le conosco poco. Ho imparato dal mio relatore di dottorato, a Vancouver in Canada: anche lui spazia tantissimo, ha moltissimi interessi, e mi ha insegnato a non aver paura di non sapere molto di un progetto e dover imparare tutto da zero. Per esempio, fino all’anno scorso non avevo mai toccato un telescopio, mentre per questo progetto ho imparato a osservare con telescopi da terra e dallo spazio. Mi sono lanciata in quest’avventura perché ho visto un’opportunità per imparare cose nuove. A volte è difficile gestire il tempo, a volte i progetti rimangono un po’ indietro, o non riesco a finirne uno perché ne inizia subito un altro. Però ho tanti collaboratori, non sono sola e questo mi aiuta tanto a far fronte a tutto”.

Cambiamo argomento, perché non c’è solo l’astrofisica fra le sue passioni. È anche produttrice di film e scrittrice. Vuole raccontarci un po’ meglio di che si tratta?

“Certo, ho appena prodotto un cortometraggio di fantascienza, girato in Italia, a Roma. Si chiama The Recycling Man. È stata una sfida perché in Italia solo da qualche anno si riscontra una rinata apertura verso il genere, ma sono contenta perché stiamo avendo successo e siamo stati selezionati in molti festival internazionali. In realtà, l’abbiamo pensato come proof of concept per una serie televisiva, e l’idea ora è stata comprata da una casa di produzione italiana di cui purtroppo ancora non posso dire il nome. Diventerà una serie di fantascienza tutta italiana, e sono felice di aver partecipato a tutto il suo sviluppo, dall’ideazione con Carlo Ballauri, il regista, fino alla stesura della bibbia per la serie. È stata un’avventura”.

Come si è avvicinata a questo mondo?

“Mio marito è regista. Avevo già fatto qualche esperienza di cortometraggio in passato con lui, in più sono una grande appassionata di cinema ed è bello poter partecipare attivamente a quel che succede anche dietro la camera”.

Cosa prevede la sua to do list nei prossimi mesi?

(ride) “Innanzitutto, scrivere. Ho trovato un’altra stella interessante, che forse mi piace anche di più di quella su cui abbiamo appena pubblicato. Non posso dire niente perché non ho ancora scritto l’articolo, ma lo farò a breve. Ho molti altri progetti in piedi e infine, per la serie televisiva, mi piacerebbe rimanere coinvolta nella produzione, ma ora collaboro quando posso perché la ricerca già richiede moltissimo tempo. Insomma, un sacco cose da fare”.

Per quel che riguarda i piani a lungo termine, le piacerebbe rientrare in Italia?

“A me piacerebbe molto tornare. In Italia si sta bene, c’è la mia famiglia, e poi mio marito ora girerà questa serie proprio in Italia, quindi lui sarà qui e io negli Usa. Oltre alle ragioni personali, mi piacerebbe contribuire all’astrofisica italiana perché penso sia un mondo fantastico. Ne parlo sempre, soprattutto alle persone al di fuori della ricerca che mi dicono ‘se stai negli Stati uniti significa che in Italia va tutto male’. Invece no. L’Italia ha delle eccellenze conosciute in tutto il mondo, il vero problema è che i finanziamenti sono molto più bassi rispetto a un posto come gli Stati uniti. Le opportunità che può dare un posto come Caltech non sono paragonabili, in questo momento. E la ricerca italiane ne soffre”.

Riferimenti: Nature