Gravidanza, meglio evitare la liquirizia

liquirizia
(Foto via Pixabay)

In gravidanza meglio non mangiare liquirizia. L’allarme arriva da un gruppo di ricercatori di Helsinki, che ha osservato come grandi quantità di liquirizia consumate dalle madri durante la gravidanza si associno a difetti cognitivi e problemi psichiatrici nei bambini e, nelle bimbe, a pubertà anticipata. La ricerca, pubblicata sull’American Journal of Epidemiology, segue il filone aperto da uno studio condotto degli stessi autori nel 2006, quando i bambini avevano 8 anni.

Secondo i ricercatori effetti così a lungo termine dell’assunzione della liquirizia in gravidanza possono spiegarsi chiamando in causa la cosiddetta programmazione fetale: condizioni avverse a cui è esposto il feto possono indurre modificazioni della struttura o della funzionalità di alcuni organi, cervello incluso. Nel caso specifico, i disturbi riscontrati nei bambini deriverebbero da un’alterazione dei livelli fetali di cortisolo, l’ormone dello stress. Fino a poche settimane dalla nascita il feto non produce cortisolo, ma è esposto a quello della madre, in quantità tuttavia fino a 10 volte più bassa: la placenta infatti agisce come una barriera, permettendo il passaggio solo del quantitativo di cortisolo necessario al corretto sviluppo fetale. Ciò avviene grazie all’enzima 11β-HSD2, che trasforma il cortisolo placentare in eccesso in cortisone. La radice di liquirizia contiene però glicirrizina (o acido glicirrizico), una sostanza che inibisce il funzionamento dell’enzima, riducendo così l’effetto barriera della placenta.

Nei topi l’interazione glicirrizina/11β-HSD2 a livello fetale è ben documentata, e si correla a disturbi della memoria, del comportamento e dello sviluppo. Nell’essere umano gli effetti sembrerebbero simili.

Il team finlandese ha selezionato 378 bambini nati ad Helsinki nel 1998 e, con il consenso dei genitori, li ha sottoposti tra il 2009 e il 2011 a test intellettivi e ad un controllo dello sviluppo fisico. In parallelo, alle madri è stato chiesto di indicare il loro consumo di liquirizia durante la gravidanza e di riempire un questionario sul comportamento dei figli, per rilevare eventuali disturbi psichiatrici.

I dati raccolti sono stati analizzati distinguendo tra esposizione bassa o nulla alla glicirrizina (<249mg/giorno, 327 bambini) ed elevata (>500mg/giorno, 51 bambini). Le quantità corrispondenti di liquirizia sono circa 5-10 volte maggiori. L’analisi statistica ha considerato anche altri fattori che avrebbero potuto influire i risultati, come l’ambiente di crescita del bambini e il consumo in gravidanza di caffé, cacao, alcool, sigarette.

Analizzando i dati, gli scienziati hanno osservato che i bambini esposti a livelli più alti di glicirrizina mostravano minori abilità verbali, mnemoniche e logiche e un QI in media 7 punti più basso dei loro coetanei. Inoltre, il 23% dei bambini esposti, contro l’8% di quelli poco esposti, manifestava sintomi di ADHD e le bambine più esposte avevano uno stadio di pubertà e di crescita corporea più avanzato delle altre. Gli effetti negativi aumenterebbero con la quantità di glicirrizina in modo lineare: non è possibile quindi avere indicazioni per un consumo sicuro.

Pur senza demonizzare la liquirizia – mangiarne occasionalmente non comporterebbe rischi – gli autori suggeriscono alle donne in gravidanza di prestare attenzione, e non solo alla radice nera. La glicirrizina è infatti utilizzata in preparazioni erboristiche contro pressione bassa e bruciori di stomaco. Inoltre, per il suo elevato potere dolcificante, fino a 50 volte quello dello zucchero raffinato, è spesso impiegata come additivo in dolciumi, bevande e per coprire il gusto amaro di alcuni medicinali.

Riferimenti: American Journal of Epidemiology

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