Categorie: Ambiente

Caro nucleare

Risalire sul treno del nucleare all’inizio del XXI secolo. L’idea, che Berlusconi ha lanciato in una dichiarazione del 20 gennaio scorso in occasione dell’inaugurazione dell’elettrodotto italo-svizzero San Fiorano-Robbia, ha suscitato la consueta valanga di opinioni contrastanti. Le riflessioni più pacate degli esperti, però, esprimono alcune perplessità. Secondo alcuni, infatti, il tema del nucleare va posto in un’ottica internazionale, e non nazionale, come suggerito dal Presidente del Consiglio. Altri, poi, sostengono che il treno che il premier vorrebbe prendere si stia avviando definitivamente al deposito.Rispetto al dibattito degli anni Ottanta, la questione si pone oggi in termini economici, piuttosto che ideologici. Berlusconi ha sottolineato il disagio indotto dalla dipendenza dalle fonti fossili, e i costi aggiuntivi che graverebbero sulle imprese italiane per comprare energia dall’estero, che il premier stima in un 20-30 per cento in più. Però, non è chiaro se il nucleare possa essere davvero una risposta adeguata a questo problema. Si stima che questa fonte di energia, da cui attualmente si ricava il 17 per cento dell’energia elettrica mondiale, sia una delle fonti di energia più economiche. Preceduta solo dall’idroelettrica, e seguita dalle più moderne tecniche di sfruttamento per il carbone, il gas e l’olio combustibile, fino alle più care fonti rinnovabili. “Tuttavia, un kilowattora di nucleare prodotto in Italia non costerebbe come uno prodotto, per esempio, in Francia”, commenta Rosa Filippini, presidente dell’associazione ambientalista Amici della Terra. “Il costo del nucleare non coincide con quello del combustibile. Bisogna contare il prezzo da pagare per mettere in piedi un’infrastruttura e farla funzionare”. Un sistema che include i costi di costruzione, sicurezza, smaltimento delle scorie e smantellamento delle centrali.”Il livelli di sicurezza delle centrali moderne sono accettabili, però sono molto costosi e impegnativi da mantenere”, prosegue Filippini. “E’ per questo che nessuno più investe nel nucleare: negli ultimi vent’anni è stata costruita solo una nuova centrale nel mondo”. Filippini sottolinea anche i rischi associati al terrorismo internazionale: “per mantenere davvero sicura una centrale oggi bisogna militarizzare e introdurre uno stretto controllo sociale nel circondario”. Anche il problema delle scorie suscita controversie. Il fisico Tullio Regge sostiene che i rifiuti possono essere stoccati al sicuro in caverne di salgemma stabili geologicamente e “dimenticati”. Cesare Silvi, ingegnere dell’International Solar Energy Society, che da 12 anni ha lasciato lo studio dell’energia dell’atomo per passare a quella del sole, solleva delle obiezioni: “La gran parte dei rifiuti decadono in poche centinaia di anni, ma quelli ad alta attività restano pericolosi per decine di migliaia di anni. Come si possono fare previsioni così a lungo termine?”.E i problemi sociali, in particolare in Italia, non si limiterebbero a questo. Lo dimostra l’irrisolvibile problema del piccolo patrimonio di rifiuti radioattivi disseminati per la penisola dalla breve attività nucleare italiana. Quando il governo decise di metterli in sicurezza in un deposito unico a Scanzano, la popolazione intera e politici di tutti gli schieramenti si opposero con una levata di scudi. Gli oppositori non entravano nel merito del progetto né criticavano all’unilateralità del governo. Semplicemente affermavano che non volevano l’impianto nel loro comune. “Una posizione particolarmente irrazionale”, commenta Filippini, “specialmente considerando che a Rotondello, a pochi chilometri da Scanzano, già da anni giacciono rifiuti ad alta attività. Se questa è stata la reazione alla costruzione di un deposito, che senso ha proporre addirittura la costruzione di nuove centrali?”.Un ritorno al nucleare, inoltre, dovrebbe tenere in conto il fattore tempo: “Considerando i tempi politici e quelli tecnici, le nuove centrali comincerebbero a lavorare fra una quindicina di anni”, ricorda l’ambientalista. Davvero troppo tempo per le imprese italiane, che hanno richiesto soluzioni già per quest’anno. “Inoltre”, va avanti Filippini, “è ragionevole aspettarsi che in questo tempo si sia sviluppata significativamente la tecnologia a idrogeno, che permette di immagazzinare l’energia intermittente del sole e del vento”.La parola-chiave, che ricorre nei discorsi di diversi esperti è “diversificazione”. “Finché le rinnovabili non prenderanno il sopravvento”, commenta Filippini, “bisogna investire sull’efficienza nella produzione e nel consumo di fonti fossili. Per esempio, in Italia si usa pochissimo carbone: è una risorsa inquinante, però il danno può essere ridotto con le tecnologie opportune”. Non è detto dunque che il nucleare debba essere completamente escluso dal “portfolio” di energie del prossimo futuro. “Però è inutile chiudersi in prospettive autarchiche”, commenta Carlo Lombardi, ingegnere nucleare del Politecnico di Milano, “è meglio partecipare a ricerche internazionali: importare una centrale prodotta con tecnologia straniera costerebbe circa 3 miliardi di euro, investire in un progetto internazionale solo 50 milioni”. Il Politecnico partecipa alla progettazione del reattore internazionale Iris (International Reactor Innovative and Secure).Secondo Silvi, però, la via è un’altra:”Fra le energie che non implicano la distruzione di risorse e l’inquinamento dell’ambiente la più abbonante è il solare. E’ necessario concentrare le energie per migliorare lo sfruttamento di questa energia”. Una mobilitazione necessaria: le strategie energetiche a lungo termine elaborate dal Consiglio Tedesco per il Cambio Globale prevedono che nel 2100, per preservare la biosfera e allo stesso tempo ridistribuire la ricchezza, il nucleare e le fossili dovranno essere ridotti solo a un 15 per cento degli approvvigionamenti di energia.

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