Cartoni troppo animati

Aladin, Mulan, Hercules e Bambi. Sarebbero questi i maggiori indiziati dell’ultimo studio condotto da Kimberly Thompson e Fumie Yokota della Harvard School of Public Health sulla presenza di scene violente nei cartoni animati destinati al grande schermo. Ma non solo questi. Il primato della violenza va a Camelot della Warner Bros, con un duello all’ultimo sangue che dura ben 24 minuti. Gli autori precisano che il loro studio non vuole essere un atto d’accusa contro la violenza nei cartoni animati, ma un semplice esame quantitativo. “Il proposito di questa pubblicazione”, commenta Fumie Yokota, “era di quantificare a quanta violenza i bambini vengono esposti quando guardano i cartoni animati e non quali potessero esserne gli effetti”. Una risposta diplomatica che tuttavia non riduce la preoccupazione. I dati della loro ricerca, pubblicata sul Journal of the American Medical Association, sono già sufficientemente chiari.

Su 74 cartoni animati, raccolti dal 1937 al 1999, nell’81 per cento dei casi almeno un personaggio si trova coinvolto in un episodio di violenza: “un’azione intenzionale in cui un aggressore entra in contatto fisico con un altro personaggio allo scopo di ferirlo o ucciderlo”, spiega Fumie Yokota. La durata dell’aggressione può variare da un minimo di sei secondi a un massimo di 24 minuti, con una media di nove minuti e mezzo. Solo nel 32 per cento dei cartoni esaminati viene espresso un chiaro messaggio di non violenza.

Nel 95 per cento dei combattimenti è il cattivo ad avere la peggio, mentre solo nel 4 per cento dei casi è l’eroe positivo a morire. Ma questo non sembra essere rilevante, visto che, come spiega Anna Oliverio Ferraris – docente di Psicologia dello sviluppo all’Università “La Sapienza” di Roma -, “la morale o il finale edificante sono più un alibi dello sceneggiatore, che non un palliativo delle angosce del bambino. Seguire una trama e collegare le singole azioni con la totalità della storia è una capacità che si acquisisce solo dopo i 7-8 anni. Prima di allora l’unica cosa che rimane impressa è la singola immagine “forte”, che non viene in alcun modo reintegrata nel contesto narrativo. Soprattutto quando le immagini sono veloci, in rapida successione e ci sono molti spot a interrompere la storia è difficile per un bambino recuperarne il senso”.

Secondo gli studi dell’Annenberg Public Policy Center, il pubblico elettivo di questi filmati è quello dei bambini di età compresa tra i 2 e i 7 anni, che in media passano più di due ore al giorno davanti alla televisione. Un dato che allarma Anna Oliverio Ferraris: “Di solito il tempo massimo di visione consigliato per un bambino così piccolo è nell’ordine dei venti minuti al giorno. Ci sono paesi, come la Svizzera, che adottano dispositivi che spengono automaticamente la televisione allo scadere dei venti minuti. Il timer dà al bambino delle regole, delle abitudini, che lui stesso esige per contenere la propria emotività”. Anche se, aggiunge la studiosa, “più che la durata è la velocità delle immagini ad accentuare lo stato di eccitazione del bambino: le immagini veloci e frammentarie sono le più difficili da gestire emotivamente”.

E difatti l’emotività incontrollata, generata dalle immagini violente, è proprio una delle cause di effetti comportamentali indesiderati a breve e lungo termine. “Gli effetti a breve termine”, spiega Oliverio Ferraris, “maturano nell’arco di uno o due giorni in una forma di eccitazione incontenibile che spinge il bambino al bisogno di scaricarsi. L’irritabilità e la naturale propensione all’imitazione lo inducono così a riprodurre nella realtà le stesse scene che ha visto sullo schermo”. E così i giochi dei bambini diventano più violenti.

In tempi più lunghi invece i bambini accumulano gli stimoli che provengono dalla televisione che si manifestano in comportamenti ripetuti, una sorta di legittimazione interiore alla violenza. Non mancano poi i casi documentati di incubi ricorrenti, perché “a nove anni il mostro fa ridere, ma prima terrorizza”, puntualizza Oliverio Ferraris. Inoltre più l’immagine diventa realistica più il bambino tende a confondere il vero con il verosimile. E di particolari realistici anche nei cartoni animati ce ne sono a migliaia, a cominciare dalle armi utilizzate nei combattimenti. Nel 59 per cento dei film lo scontro è solo fisico, nel 53 per cento si usa la spada mentre le pistole nel 35. Armi magiche e pozioni avvelenate compaiono molto più raramente di quanto si possa pensare.

Quali sono i rimedi? Due le soluzioni. La prima a carico della famiglia, l’altra a livello della programmazione delle emittenti. I genitori dovrebbero mediare tra il bambino e l’immagine. Dovrebbero spiegargli il senso di ciò che ha visto e interpretare le immagini più violente per sciogliere la sua tensione. “Ma la verità”, precisa Oliverio Ferraris, “è che molto spesso i genitori usano la televisione per liberarsi dei figli”. La televisione poi, a differenza della favola che viene letta e spiegata direttamente dal genitore, esclude la mediazione e l’immagine ha un potere costrittivo sulla fantasia del bambino. “Mentre con la fiaba è libero di fantasticare e immaginare ciò che gli viene solo descritto a parole”, spiega Oliverio Ferraris, “davanti all’immagine il bambino si deve adeguare a quello che il regista ha immaginato al suo posto”.

E poiché la televisione è una cornice che valorizza sempre ciò che mostra, bisognerebbe essere più attenti nella selezione dei programmi. I comitati responsabili di questa selezione sono quasi sempre composti da una maggioranza di esperti, che in qualche modo collaborano con le emittenti, e da una minoranza di psicologi che non ha alcuna autonomia decisionale. Ne risulta inevitabilmente un giudizio falsato che agevola gli interessi dell’emittente, ma non del pubblico.

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