C’era una volta la città dei matti

A quasi venticinque anni dalla morte di Franco Basaglia, a Trieste la figura e il lavoro dello psichiatra veneziano “vanno in scena”, in un ciclo di seminari rivolti ad addetti e non addetti ai lavori che proseguiranno per tutto il mese di settembre. “C’era una volta la città dei matti” è un ciclo di otto incontri aperti al pubblico, ogni martedì e giovedì dal 7 al 30 settembre. Li organizza il Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Sanitaria Triestina insieme all’Associazione di Volontariato Franco Basaglia, e al Master in Comunicazione della Scienza della Sissa. Un viaggio nel lavoro di Franco Basaglia e nei cambiamenti istituzionali che ha prodotto (culminati nella legge 180 e nella chiusura dei manicomi), ma anche un interessante esperimento di comunicazione della scienza sul territorio. “Di Basaglia e di quello che avvenne in quegli anni si parla ormai sempre meno, e si rischia che quell’esperienza venga dimenticata” spiega Giuseppe dell’Acqua, responsabile del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste. “Abbiamo voluto rivitalizzarla, raccontarla a chi non c’era e farne di nuovo materia di discussione”. Gli incontri non sono tradizionali “tavole rotonde”, ma sono costruiti come un montaggio di contributi di diverso tipo (letture, filmati e interventi) con gli studenti del Master in Comunicazione della Scienza della Sissa in veste di moderatori. Un’esperienza che gli organizzatori, con il sostegno della Regione Friuli-Venezia Giulia, vorrebbe ripetere su scala più grande l’anno prossimo, quando ricorrerà il venticinquennale della morte di Basaglia. Il primo seminario, martedì 7, è stato dedicato alla vita di Basaglia. Seguiranno “Che cos’è la psichiatria”, sul cambiamento dei presupposti scientifici della disciplina che ha coinciso con la chiusura dei manicomi. “Gli anni di Gorizia”, sulla prima, decisiva esperienza di direzione di un manicomio di Basaglia. Poi quattro incontri sulle varie fasi dell’esperienza triestina, dalla ridiscussione delle regole manicomiali fino alla chiusura dell’istituzione e al dopo-manicomio in città. Infine un incontro sulla legge 180, quella che decretava la chiusura dei manicomi, e la sua eredità. Agli incontri partecipano psichiatri e sociologi come Maria Grazia Giannichedda, Giovanna del Guidice, Maria Grazia Cogliati. Vengono proiettati filmati storici come “I giardini di Abele”, il documentario girato da Sergio Zavoli insieme a Basaglia nel 1967 per documentare l’orrore dell’istituzione manicomiale. O filmati amatoriali che documentano la vita all’interno del manicomio di Trieste durante gli anni basagliani. “Al primo incontro abbiamo avuto la presenza di circa 200 persone, molte più di quante ce ne aspettassimo” prosegue Dell’Acqua. “Ma la cosa che ci ha fatto più piacere è stata l’eterogeneità del pubblico. Vedere insieme infermieri e dottori, familiari di pazienti, vecchi e giovani, studenti di psicologia e insegnanti, e sentirli portare i loro diversi punti di vista sul problema della salute mentale ha fatto rivivere un po’ i tempi di Basaglia”. Uno dei rischi della situazione attuale, secondo Dell’Acqua, è infatti che i cambiamenti rivoluzionari portati da Basaglia “passino in giudicato”, vengano dati per scontati dalle persone più giovani e non siano più materiale di dibattito, di elaborazione, di crescita sociale e civile come lo furono allora. “C’è sicuramente un aspetto positivo nell’atteggiamento di molti dei giovani, dai comunicatori agli operatori, che si occupano di questi temi. C’è una pacifica accettazione di quanto accaduto, si dà per scontato che i manicomi appartengano al passato, che i malati abbiano gli stessi diritti che hanno gli altri. Ma così le idee rischiano di rimanere immobili. Non un percorso dialettico, un discorso aperto come era invece la salute mentale nell’idea di Basaglia. Bisogna anche evitare di mitizzare quel passato, vederlo come un periodo irripetibile in cui si poteva agire e cambiare il mondo mentre oggi sarebbe impossibile. È un atteggiamento pericoloso, perché giustifica una forma di ritiro”.

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