Cervelli al femminile

Nel 1879 lo psicologo e antropologo francese Gustave Le Bon, affermava che “vi era un gran numero di donne il cui cervello ha dimensioni più simili a quelle dei gorilla che a quelle dei cervelli, ben più sviluppati, degli uomini”, esplicitando senza mezzi termini un pregiudizio radicato e condiviso, quello dell’inferiorità biologica femminile. Parte da qui l’excursus storico sulle differenze di genere dal punto di vista delle moderne neuroscienze ricostruito da Marina Bentivoglio, docente alla facoltà di Medicina dell’Università di Verona, durante un ciclo di conferenze, tutte al femminile, tenute nei giorni scorsi presso il dipartimento di psicologia de La Sapienza di Roma.

A offrire l’occasione per parlare dell’evoluzione del pensiero su un tema controverso quale quello delle abilità mentali di uomini e donne, è stata la Settimana della conoscenza del cervello, un’iniziativa organizzata dalla Dana Alliance for Brain Initiative. Iniziamo dalla fine: le differenze a livello cerebrale tra individui di sesso diverso ci sono, e sono state riscontrate negli ultimi anni da un gran numero di studi scientifici di genetica, biologia molecolare e cellulare, come pure da studi di neuroimaging. Ovviamente, non hanno niente a che fare con le capacità cognitive: “In estrema sintesi, la ricerca ha evidenziato che il cervello maschile e quello femminile presentano lievi differenze strutturali, ma soprattutto rispondono diversamente all’azione di alcune molecole, principalmente gli ormoni”, dice Bentivoglio. “Gli ormoni sessuali sono molecole potenti che agiscono sul sistema nervoso. Certamente influiscono sul comportamento emotivo ed affettivo, e in parte lo regolano”.

L’approccio scientifico allo studio del cervello femminile è estremamente recente. Per secoli, come racconta la neurobiologa, non è stato così: le prime conoscenze sul cervello si basavano sulla frenologia, sulla fisiognomica, e sullo studio dei cervelli di persone famose. “A partire dal 17° secolo si inizia a cercare la correlazione fra i tratti somatici e la personalità o le abilità mentali. Dall’inizio del 1800 il presupposto di indagine sposta l’attenzione sulle protuberanze del cranio: si credeva che la palpazione della testa potesse rivelare il carattere, le predisposizioni ed i talenti dell’individuo”.In questo ambito prendono corpo gli studi sui cervelli d’élite, dissezionati e analizzati da tanti ricercatori illustri nella speranza di carpire il segreto di personaggi dotati di eccezionali talenti intellettuali. È la sorte toccata, solo per fare qualche esempio, al matematico Friedrich Gauss (1777-1855), al leader della Rivoluzione d’Ottobre Vladmir Lenin (1870-1924) e persino ad Albert Einstein (1879-1955). Tutti uomini, e non stupisce. In questo filone di studi, infatti, le ricerche sulle donne famose si contano sulla punta delle dita: Sonia Kowaleskaya, grande matematica russa vissuta nella seconda metà dell’Ottocento, Helen Hamilton Gardner, una libera pensatrice americana, suffragette e proto-femminista, morta nel 1925, e una pianista giapponese del Novecento, Chiyo Tuge.

Come spiega Bentivoglio, “la scarsità di cervelli d’élite al femminile può essere dovuta al fatto che erano scarse le donne famose, o che il cervello della donna non veniva considerato di particolare interesse”.Un pregiudizio dalle radici lontane, che si è rivelato durissimo a morire. E di cui, tristemente, abbiamo sentito eco a gennaio dello scorso anno, nelle contestatissime dichiarazioni di Lawrence Summers, rettore dell’Università di Harvard. Le illazioni sull’inferiorità innata delle donne nelle materie scientifiche, e in particolare in matematica, gli sono costate il posto.

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