Roberto Cingolani, Giorgio Metta
Umani e umanoidi. Vivere con i robot
Il Mulino 2015, pp. 183, Euro 15,00
La coesistenza con i robot fa parte di un immaginario che sta lentamente diventando realtà: tra non molto gli umanoidi condivideranno diversi momenti della nostra vita, e su di essi proietteremo le emozioni e i sentimenti che queste macchine non saranno mai in grado di provare. In questo libro gli autori (Roberto Cingolani, direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia, e Giorgio Metta, direttore dell’iCub Facility dello stesso istituto) indicano i quattro temi che devono essere affrontati dalla tecnologia robotica: in primo luogo, lo sviluppo di un complesso ecosistema robotico che dovrà coesistere con l’ecosistema umano e interagire con esso. In secondo luogo, lo sviluppo di umanoidi in grado di aiutare gli umani nelle attività quotidiane. Ancora, la costruzione e l’uso di protesi ed esoscheletri che possono facilitare lavori pesanti e aiutare chi ha perduto l’uso degli arti; e infine lo sviluppo di una roboetica capace di definire precise regole di comportamento sia per gli umani sia per gli stessi robot. Per sviluppare questi punti, dicono gli autori, è necessario il contributo di diverse ed elaborate conoscenze, talvolta proposte da discipline totalmente nuove, che cercano di rintracciare nella natura i modelli da seguire per costruire robot efficienti… quasi come gli esseri umani.
Imitare le caratteristiche del movimento umano non è facile, soprattutto perché nei viventi il collegamento tra la percezione, le strutture di elaborazione e coordinamento degli stimoli e il sistema attuatore del movimento è stato costruito e selezionato da circa quattro miliardi di storia evolutiva. Così i ricercatori ricorrono a criteri di “simplexity” (grazie alle ricerche di Alain Berthoz), per capire come il cervello controlli l’alta ridondanza del corpo riducendo problemi complessi in strategie di movimento semplici; oppure ai modelli di neuroni-specchio di Giacomo Rizzolatti per “insegnare” ai robot a prevedere e a eseguire movimenti che li mettano efficacemente in rapporto con l’ambiente. O ancora, rielaborano le teorie connessioniste per ottenere che la macchina sappia variare certi suoi parametri in funzione di segnali esterni (ed è questa, per la macchina, la definizione di apprendimento).
Ma i problemi da risolvere sono ancora moltissimi, e nel mondo esistono a tutt’oggi solo una settantina di robot umanoidi, diversi tra loro riguardo alle funzioni e ai movimenti in grado di svolgere. Alcuni, come l’iCub progettato dall’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, sono open source, in quanto le sue tecnologie incorporate sono accessibili ad altri centri di ricerca, altri sono invece prototipi le cui soluzioni costruttive non vengono condivise.
Una delle direzioni più esplorate della robotica è quella della medicina, con robot miniaturizzati in grado di realizzare indagini cliniche e terapie mirate all’interno del corpo umano. Oppure il settore delle emergenze, con robot potenti ed eterogenei in grado di operare in ambienti proibitivi, capaci di trasportare carichi pesanti, di scavare tra le macerie, di insinuarsi nelle grotte o di volare per esplorare dall’alto le caratteristiche di un suolo. Per vedere alcuni di questi in azione, i QR code presenti nel libro consentono di accedere ad alcuni filmati esplicativi.
Il saggio di Cingolani e Metta si conclude con un racconto di “fantasia possibile”, che descrive la giornata di una famiglia coadiuvata in tutte le varie attività da un umanoide ben addestrato. Gli umani impareranno a lasciarsi servire dai robot, cambiando facilmente la loro vita e le loro abitudini, come è successo con la diffusione dei social network che permettono di mantenere rapporti sociali senza parlare ma solo digitando un testo al computer. Eppure viene da pensare che tante semplici quotidiane fatiche, che un robot può svolgere facilmente, sono accompagnate da piaceri umani che (oggi) possiamo considerare preziosi: offrire una tazza di caffè alla propria compagna, salutare affettuosamente ogni giorno i bambini sulla porta della scuola, preparare con fantasia e impegno una cena invitante per gli amici, organizzare con attenzione il proprio ambiente di vita. E dare ai propri figli un modello di cura può sviluppare in loro attenzioni e affettività tipicamente umane. Con che cosa i robot insensibili sapranno sostituire questi nostri faticosi piaceri?
La prospettiva degli ultimi paragrafi mi induce a non considerare l’acquisto di questo libro, esprimendo un pregiudizio verso un modello di robot umanoide che ancora deve essere pienamente sviluppato.
Un pregiudizio che presuppone l’unicità e l’irriproducibilità dell’intelligenza umana e che, appunto, alla fine è solo un pregiudizio antropocentrico privo di giustificazione teorica.
Un robot in futuro più o meno lontano potrebbbe anche essere il nostro (cioè di chi ci succederà) amico del cuore, con cui fare delle belle passeggiate e analizzare piacevolmente i dati del cielo stellato. Ma mi rendo conto che questa fantasia è poco allettante per chi vuole pensare di essere insostituibile.