Chirurgia stellare

    Che cosa hanno in comune il corpo umano e le stelle? Un solo, fondamentale, particolare: tecniche radiologiche che possono essere usate in entrambi i campi. Una videocamera per osservare le stelle potrà infatti presto fare la sua comparsa nelle sale operatorie. Il nuovo apparato permetterà al chirurgo di individuare e rimuovere con precisione i tessuti cancerosi senza dover asportare intere parti. E la novità non arriva dalla tecnologia medica ma dall’Esa, l’Agenzia Spaziale Europea.

    Un team dell’Estec, il centro olandese di scienza, ricerca e tecnologia dell’Esa, ha sviluppato un nuovo microchip, simile a quelli usati nelle comuni videocamere, ma in grado di rilevare sorgenti di raggi X “forti”, ovvero a livelli energetici più alti di quelli comunemente usati. La scoperta è fondamentale: nell’astrofisica l’apparato potrà essere usato per costruire un nuovo potente telescopio in grado di studiare corpi celesti che non emettono luce visibile. “Il nuovo strumento sarà più efficiente rispetto a quelli usati finora”, ci ha spiegato Anthony Peacock, direttore dell’Estec. “Sarà in grado di distinguere dettagli importanti, come per esempio le linee di un campo magnetico molto forte prodotto da una stella a neutroni”.

    Ma la videocamera potrà essere usata anche in medicina per individuare le cellule cancerose. Le applicazioni saranno vaste: dalla prevenzione all’utilizzo in sala operatoria, affinché il chirurgo possa distinguere esattamente i tessuti malati da asportare da quelli sani. “Sarà una videocamera completamente digitale”, continua Peacock. “Il chirurgo potrà osservare i tessuti direttamente su un monitor. Una traccia radioattiva verrà iniettata nel tumore. Il nostro apparecchio è abbastanza piccolo da poter essere posto direttamente sulla pelle: la sostanza radioattiva evidenzierà le cellule cancerose, in modo che appaiano come tracce luminose attraverso la videocamera. L’efficienza dello strumento è tale che una piccola dose è sufficiente, e in nessun momento la salute del paziente è posta a rischio”.

    Una strumentazione sensibili ed efficiente è quanto mai importante visto che la tecnologia in uso al momento nella rilevazione delle cellule tumorali è purtroppo limitata: nel caso di cancro alla mammella, per esempio, le cellule cancerose tendono a svilupparsi intorno ai linfonodi, dove è più difficile distinguerle. Da qui si diffondono in fretta al resto del corpo. Si deve quindi intervenire chirurgicamente per individuare i tessuti malati e spesso l’unico modo per eliminarli completamente è asportare l’intero sistema linfatico. Tutt’altro problema affligge invece la comunità astrofisica: riuscire a “vedere” corpi celesti che non emettono luce visibile. Finora sono stati usati rilevatori di raggi X che si basano su un sensore al silicio: il rilevatore riceve il segnale e lo traduce in impulso elettrico la cui intensità è proporzionale all’energia del segnale ricevuto. I raggi X vengono distinti in base al loro livello energetico: quelli denominati “deboli” hanno livelli energetici al di sotto dei 10 chiloelettronvolts (keV), mentre quelli forti hanno livelli compresi tra i 10 e i 200 keV. Con i rilevatori al silicio si riesce a “vedere” solo le bande basse, ovvero i raggi X deboli. E qui il problema medico e quello astrofisico si congiungono: i raggi deboli non danno sufficiente informazione, addirittura, il corpo umano li assorbe completamente, e dunque la camera al silicio sostanzialmente non “vede” nulla. Sussistono poi problemi di praticità: per ridurre al minimo i segnali di disturbo e ottimizzare l’efficienza, il sensore al silicio deve essere raffreddato a una temperatura ideale di -100 gradi centigradi. Questo significa che includendo il sistema di raffreddamento, l’intero apparato diventa ingombrante e dunque molto poco pratico da usare in sala operatoria.

    Mentre in astrofisica il problema può essere “aggirato” aumentando il tempo di esposizione alla sorgente, in medicina questo comporta problemi di natura fisiologica (un tempo di esposizione troppo lungo può danneggiare irreversibilmente le cellule umane). I ricercatori dell’Estec hanno usato un nuovo materiale per costruire il loro microchip, l’arseniuro di gallio. Questo materiale riesce a superare le difficoltà imposte dal silicio: non richiede apparati di raffreddamento, e riesce ad assorbire i livelli energetici alti. Il nuovo sensore messo a punto con questo materiale ha superato con successo la sperimentazione condotta presso l’Hasylab, un laboratorio tedesco dove si studiano raggi X. Dunque il sensore è pronto: il passo successivo è quello di sviluppare un sistema in grado di inviare le immagine a uno schermo in tempo reale. “È quello che stiamo facendo proprio adesso”, spiega Peacock. “Al progetto partecipa anche la compagnia finlandese Meteorex come partner industriale”.

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