Cibo, fra ossessione e necessità

Sharman Apt Russell
Fame. Una storia innaturale
Codice Edizioni 2006, pp. 230, euro 23,00

Se dal titolo può sembrare ovvio capire di che cosa parla questo libro, altrettanto non si può dire del modo in cui la scrittrice affronta il tema della fame. Il più basilare degli istinti di sopravvivenza, il bisogno di mangiare, viene scomposto e ricomposto attraverso queste pagine come la luce attraverso un prisma. La fame è un insieme di messaggi e reazioni chimiche che avvisano l’organismo che il suo carburante sta andando in riserva. Il senso di fame, come quello di sazietà, è qualcosa che tutti conosciamo, che scandisce il tempo delle nostre giornate. È istinto di sopravvivenza, ma anche uno stimolo contro cui si lotta. Chi è sovrappeso combatte la fame per ritrovare la linea. Chi ne soffre i morsi perché vive in un paese povero, cerca di sopravvivere lo stesso. Le contraddizioni e le ambivalenze insite nella parola sono le più varie.

La fame è naturale tanto quanto è vero il contrario. Sinonimo di sofferenza, ma anche di desiderio di gola; strumento di protesta politica e sociale, o strumento di tortura. Il digiuno può essere volontario, ricercato per motivi terapeutici o religiosi, o forzato, per esempio a causa di una carestia, e addirittura spettacolarizzato. La fame può diventare una malattia, come l’anoressia, o una cura per la longevità, secondo gli scienziati che sostengono i benefici della restrizione calorica. È un’esperienza fisica, materiale, sensoriale. Ma anche metafora spirituale, che permette di trascendere i desideri del corpo. La fame richiama la vita e la morte, il corpo e lo spirito, i più nobili ideali e le peggiori crudeltà, i diritti inalienabili dell’essere umano e le insanabili disuguaglianze dell’umanità.

Così, saltabeccando dalla scienza alla storia, dalla medicina all’antropologia, dalla religione alla psicologia, Sharman Apt Russel, scrittrice statunitense esperta di storia naturale, offre un’analisi caleidoscopica di questo aspetto cruciale della nostra esistenza. In tutte le sue accezioni. A partire dai processi che si innescano nel corpo umano quando l’esigenza di mangiare non viene soddisfatta. Quanto si può resistere senza cibo? Come reagiscono gli organi del corpo e il cervello privati dei nutrienti fondamentali? L’autrice non si limita a considerazioni generiche, ma entra nel dettaglio, fornendo spiegazioni di biologia e citando studi scientifici e sperimentazioni cliniche. Fa descrizioni minuziose dei sintomi, delle reazioni cellulari, delle sensazioni fisiche dopo tre, quattro, cinque giorni e più senza cibo, sperimentati anche in prima persona. Passa poi in rassegna gli episodi più clamorosi di digiuno della storia. Dalle sante ascetiche medievali come Santa Caterina da Siena, che alla fine morì per le privazioni autoimposte in nome della fede cristiana, al Mahatma Gandhi, che portò avanti con lo spirito della non violenza nel corso della sua vita 17 scioperi della fame e innumerevoli digiuni personali. Dalle suffragette francesi ai combattenti repubblicani irlandesi dell’Ira che si lasciarono morire di fame in carcere per difendere la propria causa.

L’autrice ci parla anche della fame nella Seconda guerra mondiale, delle torture nel ghetto di Varsavia, della sfida umanitaria dell’Organizzazione mondiale della sanità per cancellare la fame nel mondo, della piega sociale dell’obesità e dei disordini alimentari. Spaziando fra questi temi, il saggio appare una sorta di esercizio di variazioni sul tema. Può risultare ossessivo e un po’ martellante per la monotonia dell’oggetto, ma allo stesso tempo esercitare fascino per la varietà delle declinazioni fornite.

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