Cioccolato fondente, la formula del temperaggio perfetto potrebbe non servire

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Basta ansie e incertezze sul temperaggio, il delicato processo di lavorazione del cioccolato fondente da cui dipendono le qualità più ricercate dai tutti i nostri sensi: aroma, scioglievolezza, croccantezza, lucentezza. Uno studio dell’Università di Guelph in Canada, pubblicato su Nature Communications suggerisce che questa procedura, spauracchio di aspiranti pasticceri e cioccolatieri, possa essere semplificata, se non abolita, grazie all’aggiunta di molecole lipidiche.

Cos’è e a cosa serve il temperaggio del cioccolato

Il temperaggio (o precristallizzazione) è un processo che garantisce al cioccolato fondente le caratteristiche “multisensoriali”che lo rendono più appetibile: ne esalta l’aroma, la scioglievolezza e la croccantezza al palato e, non ultimo – anche l’occhio vuole la sua parte – la lucentezza.

La prevede varie fasi, ciascuna delle quali deve avvenire ad una determinata temperatura. I professionisti parlano dunque di “curva di temperaggio”, leggermente variabile in funzione del prodotto finale: che sia fondente o al latte, bianco o colorato. In linea di massima, dapprima si riscalda la massa di cioccolato fino a fonderla completamente ad una temperatura superiore ai 45 gradi centigradi, poi si procede ad un raffreddamento e ad un secondo riscaldamento. Tutto questo per ottenere procedura mira ad ottenere una particolare forma cristallina del burro di cacao.

Cristallizzare il burro di cacao

Il burro di cacao è la componente lipidica del cioccolato, circa il 30% della sua composizione. Questo grasso è formato da una miscela di trigliceridi che raffreddandosi possono generare sino a sei forme cristalline solide distinte. Il fenomeno in natura è conosciuto come polimorfismo, ed è riscontrabile anche in altre sostanze come, ad esempio, il carbonio che, a diverse condizioni di temperatura e pressione, forma il diamante o la grafite.

Le forme cristalline del burro di cacao sono state scoperte e studiate nel Novecento dai fisici Wille e Lutton che le denominarono con numeri romani da I a VI secondo temperature di fusione crescenti. Di queste sei forme, la V è quella ricercata dai mastri cioccolatieri poiché genera un cioccolato di alta qualità, dall’aspetto lucido, facilmente lavorabile, croccante al palato e fondente in bocca alla temperatura di circa 34 gradi.

Temperaggio controllato con i lipidi

Secondo il team canadese, la solidificazione del burro di cacao sarebbe influenzata da alcune sostanze grasse naturalmente presenti in basse percentuali, come fosfolipidi, monogliceridi e digliceridi. La loro aggiunta– suggerisce lo studio – potrebbe favorire la formazione di nuclei aggregati sui quali far crescere i cristalli della ambita forma V.

Le sostanze che hanno incrementato maggiormente la velocità di crescita dei cristalli di questa forma sono risultati alcuni particolari fosfolipidi. Le molecole lipidiche sono state aggiunte sia a burro di cacao puro sia a diversi campioni fusi di cioccolato commerciale, ottenendo risultati soddisfacenti in entrambi i casi.

Aggiunti in quantità controllata ad una massa fusa di burro di cacao o di cioccolato, concludono i ricercatori, i fosfolipidi potrebbero ridurre o addirittura eliminare la necessità di attuare il processo di temperaggio nella produzione industriale.

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